Ho già parlato di una cosa simile ultimamente, comunque, dovete sapere che nutro un’insana passione per i fiori da bulbo. Ecco l’ho detto. Ma proprio che vorrei poter partecipare della loro bellezza, e che questa non fosse transitoria; insomma, io il Paradiso, o il Paese delle fate, me lo immagino pieno di fiori primaverili che non appassiscono mai.
Fiori che sono familiari quasi a tutti, come ad esempio il Giglio. Sì, lo so, i Gigli, specie se bianchi, sanno di chiesa, un po’ perché sembrano essere uno degli ornamenti da altare più gettonati, ed un po’ perché li si può trovare fra le mani di un certo numero di santi, soprattutto S. Antonio da Padova, S. Luigi e S. Giuseppe, ma è anche il fiore che non manca quasi mai nelle rappresentazioni dell’Annunciazione, ad indicare la purezza della Madonna.

Esiste una quantità veramente grande di piante che comunemente vengono chiamate Giglio, quelli propriamente detti appartengono al genere Lilium.
Il più noto è il Giglio bianco, Lilium candidum, detto anche Giglio della Madonna, originario del Mediterraneo orientale da noi si trova solo coltivato, fin da un’epoca molto antica.
Tanto per cambiare però, le specie che più amo sono quelle selvatiche, e bisogna dire che i Gigli italiani non hanno nulla da invidiare a quelli di altri luoghi o agli ibridi creati dall’uomo, anzi, quando li vedi nei prati ti (cioè, in realtà “mi”, ma penso che anche a te chiunque tu sia) viene da pensare “No va beh, ma troppa bellezza tutta insieme, ma davvero? Come…!?” E non so se quello che voglio chiedere sia “Com’è possibile?” o “Come può il mondo non ritenerti una chiara manifestazione che da qualche parte qualcuno/qualcosa creandoti ha fatto davvero un ottimo lavoro?” o “Come può la gente non accorgersi che senza di te il mondo sarebbe meno bello, meno felice, incompleto?”.
Sia come sia, alcuni dei Gigli che mi fanno quest’effetto sono: il Giglio martagone (Lilium martagon) che cresce in montagna, ha fiori pendenti cerosi, rosa intenso picchiettati di carminio con i petali molto incurvati all’esterno. E’, a quanto ho potuto vedere io, poco comune, però le volte in cui l’ho incontrato me le ricordo tutte.

Simile è il Lilium pomponium, sempre montano, dai fiori somiglianti a quello precedente, ma di un arancio carico e luminoso; questo non l’ho mai visto dal vero, però so che si trova sulle Alpi marittime fra Liguria e Francia, dove a volte bazzico anch’io, sicché è una delle mie chimere personali, una di quelle piante che spero sempre di trovarmi davanti così d’un tratto, per caso, voltando lo sguardo. Una di quelle che quando le vedi ti metti in ginocchio.
Con il Giglio di S. Giovanni, Lilium bulbiferum invece ho una conoscenza più approfondita, sboccia arancione e luminoso anche più in basso; il fiore è rivolto verso l’alto e i petali sono picchiettati di bruno-rossastro. Tutte le volte che lo vedo penso che, davvero, in lui viva lo spirito solare e focoso della festa solstiziale di S. Giovanni.

Esiste poi anche una specie endemica di Veneto e Friuli, il Lililum carniolicum, che io conosco solo per sentito dire.
Ecco, qui in Italia ci sono giusto questo pugno di varietà di Giglio, che però hanno per me qualcosa di magico, di sacro, nel senso del greco agnos tradotto di solito come “sacro” o “puro” ma nel senso di “non toccato, intangibile” poiché proprio del divino.
Mi accorgo solo ora che non ho mai raccolto un Giglio, di nessun tipo. Sono troppo belli per pensare di raccoglierli (inoltre, quelli selvatici sono protetti quasi ovunque).
Splendide rappresentazioni di Gigli si trovano negli affreschi minoici, a far da cornice a scene ricche di colori, fiori e animali, tanto caratteristiche dell’arte di questa civiltà.
Sembra che in Grecia il Giglio (principalmente quello bianco) fosse chiamato krinon o leirion, affine al latino lilium, probabilmente derivato dalla lingua dell’antica Persia, di dov’è originario il fiore. Oltre che per la loro bellezza, i Gigli erano coltivati ad uso alimentare (i bulbi) e medicinale.

Dioscoride, l’autore del I sec. d. C. del De materia medica, testo greco fondamentale per la medicina fin alle soglie dell’età moderna, parla del leirion o krinon, detto dai Romani lilium o “rosa di Giunone”, i cui fiori rientravano nella preparazione di un unguento chiamato susinion (perché fatto con i Gigli più pregiati di Susa, il cui nome verrebbe proprio da suson “giglio) o liliaceum. Il bulbo è emmenagogo, diuretico, buono per la pelle in caso di infiammazioni, arrossamenti, ustioni, piaghe, e quest’ultima indicazione è valida anche per i fiori. Tutto ciò è stato confermato dalla scienza moderna.
In Grecia era, dopo la Rosa, il fiore più usato nelle corone, sacro a Demetra e Era, le grandi Dee Madri, alle quali veniva offerto, ed una leggenda molto tarda (X sec. d. C.) fa nascere il Giglio dal latte di Era caduto sulla terra. Così, da Madre a Madre è giunto fin nelle mani della Madonna.

Questa volta però lasciamo le isole assolate di Grecia e andiamo verso le sponde orientali del Mediterraneo, da dove proviene il Giglio candido; infatti, vorrei chiudere con una citazione niente meno che dalla Bibbia, dal Vecchio Testamento. Non temete però, non è una di quelle noiose, infatti fra le pagine, a volte discutibili, di questo libro, si può trovare anche un bellissimo canto d’amore, non esente da un certo erotismo diffuso, che mai avrei pensato di trovare qui: sto parlando del Cantico dei Cantici.
E’ un testo poetico, attribuito a re Salomone, in cui un uomo e una donna, chiamati genericamente lo sposo e la sposa, tessono le lodi l’uno dell’altra, ed il Giglio, viene citato più volte, come immancabile simbolo di bellezza. Un po’ quello di cui vi parlavo all’inizio, insomma.
“Io sono un narciso di Saron
un giglio delle valli.
Come un giglio fra i cardi,
così è l’amata mia fra le fanciulle.”
“I tuoi seni sono come due cerbiatti,
gemelli di una gazzella,
che pascolano fra i gigli.”
“Le sue guance, come aiuole di balsamo,
aiuole di erbe profumate,
le sue labbra sono gigli
che stillano fluida mirra.”
“Le curve dei tuoi fianchi sono come monili,
opera di mani d’artista.
Il tuo ombelico è una coppa rotonda
che non manca mai di vino drogato.
Il tuo ventre è un mucchio di grano,
circondato dai gigli.”
Cantico dei Cantici, II, 1-2; IV, 5, 13; VII, 2-3.
Nota finale: nonostante abbia riportato le proprietà medicinali dei bulbi dei Gigli (il cui uso interno, per altro, non è del tutto sicuro), a meno che non abbiate una piantagione estesissima, vi inviterei ad utilizzare altre erbe egualmente efficaci ma più diffuse, e il cui utilizzo non preveda l’estirpazione dell’intera pianta come nel caso del Giglio. A meno che non siate qualche vecchio montanaro che lo usa da tutta la vita perché così gli è stato insegnato dai suoi antenati, e ne è circondato. In quel caso avete la mia benedizione.