Come molti di quelli che oggi cercano di condurre una vita rispettosa e a contatto con la Natura, io sono cresciuta in città, in un condominio per la precisione, quindi non ho mai avuto un giardino.
Credo che sia per questo che mi affascinano tanto i fiori da bulbo: Giacinti, Gigli, Tulipani, Amarillidi, Narcisi.
Alcuni si possono comprare in mazzi dal fioraio, ma in casa mia non si è mai speso per i fiori recisi, così per me questi fiori hanno un aura di intoccabilità, data dal fatto che li ho sempre visti nei giardini di qualcuno (come tutti sanno esiste un girone infernale apposito per chi rovina le fioriture delle signore con il pollice verde).
Fortunatamente però esistono anche quelli selvatici; prendiamo i Narcisi per esempio. Visto che ho preso parte a varie diatribe a riguardo, specifico: Narciso e Giunghiglia non sono la stessa cosa, o meglio, la Giunchiglia è una varietà di Narciso (Narcissus jonquilla), ha i fiori raccolti a mazzetto, con sepali gialli che circondano la corona gialla anch’essa; è profumata e piuttosto comune. Non sono mai riuscita a capirlo con certezza, ma credo che fossero le Giunchiglie i daffodils a cui Wordsworth ripensava sdraiato sul suo divano.
Poi c’è il Narciso dei poeti, Narcissus poeticus (che bel nome eh?) che ha fiore singolo e sepali bianchi con corona gialla a margine rosso, di questo si trovano fioriture incredibili in montagna, a tarda primavera, e personalmente credo che questo sia uno di quegli spettacoli naturali che ti rimettono in pace col mondo.
Quello che ho visto più spesso nei giardini è il Trombone (Narcissus pseudonarcissus) con fiore singolo profumato che reca sepali giallo chiaro e la corona (più grande rispetto a quelle delle altre varietà) giallo intenso, ma che può assumere anche varie altre colorazioni.
Le Tazzette (Narcissus tazetta) infine, hanno mazzetti di fiori profumati con sepali bianchi e corona gialla.
Da queste specie botaniche sono nati una serie infinita di ibridi da giardino.
La parola Narciso, dal greco narkyssos, deriva, secondo il nostro solito amico Plinio (studioso romano del I sec. d. C. autore della Naturalis historia) dal verbo narkao “intorpidire, paralizzare”, da cui l’italiano “narcotico”, forse per il profumo intenso dei fiori, o per presunte proprietà calmanti. Alcuni linguisti però ritengono che si tratti di una parola pre-greca; in Grecia infatti non ci sono sempre stati gli antenati dei greci di epoca storica che tutti abbiamo studiato. Quando queste popolazioni si stanziarono in Grecia portando la loro lingua, assorbirono dalle popolazioni precedenti alcune parole, fra le quali molto fitonimi, ovvero i nomi delle piante locali, infatti, chi meglio di coloro che ci vivono in mezzo possono dare un nome che descriva la natura delle piante?
Purtroppo però le lingue pre-greche ci sono in larga parte ignote, quindi non conosciamo il significato originale della parola “narciso”, però vari scrittori greci e latini ci hanno tramandato la genesi mitica del Narciso, ed esistono sostanzialmente due racconti principali.
Il primo e più noto, narra di un giovane di straordinaria bellezza di nome Narciso, il quale rifiutava l’amore di tutti, uomini e donne, finché, come punizione voluta dagli Dei per il suo spregio dell’amore, non si innamorò dell’immagine di sé stesso colta sulla superficie di uno specchio d’acqua. Trascorse un lungo tempo a rimirare quel volto magnifico, che quando lui si avvicinava, gli si faceva anch’esso vicino, finché, consunto dal dolore per l’impossibilità di avere il suo amato, si uccise, o morì cadendo nell’acqua, ma dal suo corpo spuntò il primo fiore che da lui prese il nome.
Il secondo mito racconta di un giorno in cui Kore “la fanciulla”, figlia della Dea delle messi Demetra, raccoglieva fiori in un prato illuminato dalla primavera, insieme ad altre fanciulle. Quand’ecco, la Terra fece sorgere per inganno un fiore mai visto prima, con cento corolle e un profumo inebriante che faceva sorridere la terra, il cielo ed il mare. Era il primo Narciso. Kore allunga la mano per cogliere quel fiore prodigioso, quando la terra si apre e ne emerge Ade, il signore dei morti, sul suo cocchio tirato da neri cavalli, che svelto afferra la ragazza e la trascina nelle profondità sotterranee con sé; di Kore restano soltanto i richiami disperati. Ma li ode Demetra, che lungamente vaga sulla terra alla ricerca della figlia, finché il Sole che tutto vede le rivela l’accaduto. Allora Demetra, addolorata e furiosa, fa in modo che la terra non produca più nulla finché non potrà riabbracciare Kore. Così alla fine, Zeus ordina ad Ade di restituire la fanciulla alla madre, questi però, prima di ricondurla alla luce, le fa mangiare alcuni semi di Melograno.
Non ci sono parole per dire la gioia di Kore e Demetra nel riabbracciarsi alla luce del sole, ma i semi di Melograno legano Kore al al di là, e così per sempre essa trascorre metà dell’anno come regina dei morti, sottoterra, e allora i campi non producono, mentre gli altri sei mesi li trascorre con la madre e gli Dei, ed allora i prati si coprono di fiori per la gioia del ritorno della fanciulla. E così ogni anno, con Kore torna la primavera; ogni fiore che sboccia, ogni corolla che si apre, è un passo sulla strada che porta Kore dall’Ade al mondo dei vivi.