Ci sono pochi fiori che fanno primavera come le Viole, giusto la Primula e il Bucaneve, per me. Che poi ne hanno parlato tutti: la donzelletta di Leopardi le mischia con le rose, Pascoli le guarda spuntare sul muro, per De André sbocciavano, per Rino Gaetano sfiorivano.
Insomma, sembra che abbiano qualcosa da dire un po’ a chiunque le incontri. Io non sono da meno (e scommetto manco voi).
Qui da noi vicino al mare la Violetta si fa vedere già a dicembre nei luoghi riparati, è una pioniera della primavera, che quasi vorresti dirle “Ma dai, ma davvero? Ma lascia perdere, è troppo presto, e se poi gela?” ma lei ha dalla sua tutta la perfezione millenaria dei cicli naturali, quindi non puoi far altro che concludere con “Sei fortissima.”

Potrei quasi pensare che sia il primo fiore che ho imparato a riconoscere, perché da quanto ho memoria lei è sempre stata lì, come un qualcuno di noto. Una volta, durante una giornata di primavera in natura con una classe di bambini, uno di questi, tutto entusiasta mi ha indicato un fiore di Trifoglio dicendomi “Uh guarda una Violetta!”, il che mi ha sorpresa non poco (no ok, diciamo le cose come stanno, non ero solo sorpresa, ero attonita) appunto perché per me la Viola è la A dell’alfabeto dei fiori, la più facile e nota fra le piante.
Un po’ come, immagino, per un fisico nucleare è incredibile che io possa non conoscere, che so, la seconda legge della termodinamica! Insomma, è stata una lezione di umiltà: ognuno sa quello che sa e non c’è niente di male in questo; il fatto che io conosca le erbe è in parte una fortunata coincidenza (c’è stato chi me le ha insegnate), ed in parte frutto di studio e amore, così come tutti gli altri saperi.
Riguardo alle Violette, ricorderò per sempre due proverbi in dialetto, che in italiano suonano: “S. Sebastiano la Viola in mano” e “S. Agnese la Viola sotto la siepe”, (oh lo so, tradotto non ha la rima quindi suona come un proverbio tarocco, ma vi assicuro che in dialetto è un’altra cosa) che vogliono dire semplicemente che intorno alle feste di questi santi, che cadono il 20 e 21 gennaio, le Viole sono fiorite.
Ecco un frammento di quel calendario contadino che benché ora sia legato a date fisse, doveva soprattutto essere costruito sull’osservazione e la vita gomito a gomito (si fa per dire) con la Natura, di cui non mi stancherò mai di raccogliere pezzi, anche se a volte sembrano contrastanti fra loro.

Adesso non vorrei andare troppo fuori tema, però: il discorso su che luna sia migliore per seminare diciamo, io non so se ve ne siete accorti anche voi, ma praticamente qualsiasi contadino vi darà delle indicazioni diverse, spesso iniziando “Eh, dicono che…”, però in compenso sanno esattamente quando piantare le verdure nel loro orto…se non è “osserva e interagisci” questo io non saprei dove andare a trovare un esempio migliore.
Le Viole per me hanno sempre avuto qualcosa di umile, di semplice, quasi innocente direi
Sono fiorellini minuti, e spesso crescono al riparo di siepi e Ulivi, occhieggiano fra l’erba senza farsi vedere troppo, non si vantano, però hanno quel colore incredibile che va dal lilla tenue, quasi azzurrino della Viola canina, al viola intenso, profondo, carico della Viola odorata.
Quest’ultima è la Viola classica, quella che le nonne piantavano nei giardini, e si riconosce, come da nome, perché “odora”, ha quel profumo intenso e buonissimo che ogni primavera non vedo l’ora di sentire. Queste Viole sono quelle che si usano per fare lo sciroppo, che oltre ad essere buono (il sapore, per non so qualche processo alchemico è uguale al profumo dei fiori), è un rimedio delicato per la tosse. Si usano anche candite come caramelle, o nella marmellata di mele per dargli una sfumatura floreale, o anche per aromatizzare liquori, gelati, sorbetti o colorare insalate di erbe.
Insomma, ci si può fare di tutto, ed anche le foglie sono commestibili, benché non particolarmente saporite.
Ma di Viole ce ne sono tantissimi tipi, molti alpini: ci sono le piccole e delicate Viole del Pensiero (Viola tricolor, e scordatevi quelle giganti e vellutate da giardino che si comprano ai vivai) bianche con sfumature gialle e viola-azzurro, che possono essere davvero minuscole; le Violette gialle (Viola biflora) che crescono lungo i rigagnoli di acqua freddissima; e poi le bellissime Viole farfalle (Viola calcarata), bianche, viola, gialle che creano delle strisce di colore incredibili sui prati, dopo l’ultima frontiera degli alberi.
Non è facilissimo trovare un prato di Viola odorata, spesso crescono sparse una qui e una là, ma una volta ci sono riuscita: ce n’era un bel tappeto sotto ad un Pruno, di quelle Viola intenso, profumatissime, tanto che quando c’era un soffio di vento, sembrava l’alito della primavera che respirava sulla terra coperta di verde nuovo.
Ero nel campo del nonno, e credo che le antenate di quelle Viole le abbia piantate mia nonna chissà quando, e mi è giunta notizia che all’inizio l’unico che le aveva era il prete, e che poi, di mano in mano, si sono sparse per orti e giardini di tutto il paese.

Anche l’altro giorno mi seduta fra le Viole, al sole, e mi sono messa a pensare (chi, d’altra parte, non si mette a fare riflessioni di questo tipo e con queste premesse, seduto in mezzo ai fiori): nella Grecia antica, la primavera sembra essere in particolare una stagione di sangue, si apriva con il Croco, nato dal sangue di un giovane dall’identico nome, e proseguiva con i Giacinti sorti dopo la morte di Giacinto, e i Narcisi, apertosi per la prima volta dopo la morte di colui che amò sé stesso, per poi trionfare del tutto con gli Anemoni di Adone e le Rose fattesi rosse con il sangue di Afrodite.
La Viola ha una leggenda simile, accolta a Roma dalla Frigia: il fiore sarebbe nato dalle gocce di sangue del bell’Attis, amato dalla Grande Madre Cibele.
Così mi sono chiesta: chissà come mai nella mitologia i fiori primaverili nascono dal sangue e/o dalla morte. La risposta che mi sono data, è che sono i fiori che annunciano la rinascita, ovvero la vita dopo oltre e nonostante la morte: quando fioriscono le Viole, il loro messaggio è qualcosa di simile a “E’ vero, è proprio come speravate, l’inverno è finito, la vita rinasce dalla morte e non c’è fine a questo, cascasse il mondo alla morte succede la vita, all’inverno la primavera, così come la neve si scioglie e fioriscono le Viole.”

Certo però, mi viene anche da dire, spunteranno pure i fiori, ma Croco, Giacinto, Narciso ecc. sono belli che morti! Eppure, in questa promessa mantenuta c’è qualcosa di consolatorio per tutte quelle che invece si sono rivelate transitorie: il primo amore e tutta la serie successiva, alcune amicizie, i momenti felici, la vita di persone care e non e tutte quelle cose della vita che ci piacerebbe fossero immortali e invariabili.
Quindi sì, ok, sono morti e le cose sono cambiate, ma da queste morti nasce qualcosa, non la stessa cosa, che non cancella il dolore, il sangue, però è qualcos’altro di vivo, vitale e bello come può esserlo un prato di primavera.
Il difficile è sentirlo, e lasciare che sia, non attaccarsi a quei corpi morti, ma lasciare che spuntino i fiori, riconoscere e accettare il ciclo. Non che io ci sia ancora riuscita eh, anzi ogni volta mi viene da pestare i piedi per terra, ma per fortuna, ci sono le Viole a ricordarmelo ad ogni primavera.