A cura di Giovanni Santandrea, Transition Italia
E’ un’intervista molto particolare questa che mi appresto a realizzare. Ho l’onore di incontrare il prof. Vincenzo Balzani. La sua gentilezza e affabilità sono tali che è facile per me scordare che questa è un’intervista ad un “quasi” premio Nobel per la Chimica. Non è una cosa che capita tutti i giorni. Balzani è un ricercatore italiano che ha svolto attività didattica e di ricerca ai massimi livelli italiani e mondiali. Dopo essersi laureato in Chimica all’Università di Bologna, vi ha poi svolto l’attività di docente fino al 2010. La fotochimica e le nano tecnologie rappresentano alcuni dei campi di ricerca che ha sviluppato con più successo. La lista dei riconoscimenti accademici internazionali è così vasta che nello spazio di questo articolo non li possiamo riportare.
Ma è anche persona con un forte interesse per le questioni sociali. Nel 2008, sempre presso l’Università di Bologna, ha fondato il corso interdisciplinare Scienza e Società.
Buongiorno prof. Balzani, perdoni la prevedibilità della mia prima domanda. Vorrei iniziare questa intervista proprio parlando del mancato riconoscimento del Premio Nobel per la Chimica che nello scorso Ottobre lei avrebbe potuto ricevere insieme ai suoi colleghi ricercatori Sauvage, Fraser Stoddart e Feringa per gli studi sulle macchine molecolari. A distanza di qualche mese le chiedo di raccontarci cosa ha provato nel momento in cui ha appreso la notizia. E cosa prova ora, a distanza di qualche mese? A novembre quando il suo amico, e neo premio Nobel, James Fraser Stoddart è venuto a sorpresa a Bologna per festeggiare il suo ottantesimo compleanno, cosa vi siete detti?
Il premio Nobel per la Chimica da qualche anno veniva dato a studi riguardanti aspetti biologici. Eravamo tutti ben consapevoli che le macchine molecolari sono un argomento di punta della ricerca chimica, ma nessuno si aspettava che il premio Nobel fosse assegnato a queste ricerche.
Quando la mattina del 5 ottobre la telefonata di un giovane collega mi annunciava che il premio Nobel era andato alle macchine molecolari sono stato piacevolmente sorpreso, poi amareggiato perché non ero fra i tre scienziati scelti. Subito sono incominciati ad arrivare messaggi di solidarietà da tutto il mondo che giudicavano la scelta ingiusta perché il nostro gruppo è stato il primo a far muovere le macchine molecolari. Voglio sottolineare, però, che i tre premiati sono bravissimi colleghi e anche miei amici. Qualcuno ha subito avanzato l’ipotesi che, siccome eravamo in quattro, ma solo tre potevano essere premiati, fattori non scientifici avessero giocato un qualche ruolo. Due giorni dopo è anche apparsa su tutti i giornali una lettera dei vertici della Chimica italiana nella quale si sottolineava che l’Italia non è capace di fare squadra e di appoggiare i suoi scienziati. Sia come sia, mi sono subito tranquillizzato. Ho capito che le manifestazioni di stima e di affetto che stavo ricevendo valevano molto più del premio. Quando pochi giorni dopo, alla festa del mio compleanno organizzata dai miei giovani colleghi, è comparso Fraser Stoddart, uno dei tre premiati, e abbracciandomi mi ha detto “Lo meritavi anche tu”, ho sperimentato la vera amicizia.
Le macchine molecolari possono essere descritte come particolari aggregati di molecole che, esposte a particolari fasci di luce, eseguono movimenti non casuali e prevedibili. E’ una definizione accettabile? In modo semplice, ci può raccontare quali scenari si possono aprire con questa scoperta? In quali campi applicativi possono trovare un utilizzo? Quanto tempo sarà necessario perché queste tecnologie possano trovare spazio in prodotti industriali?
Le macchine molecolari sono aggregati molto ben progettati di componenti molecolari aventi proprietà specifiche e i loro movimenti possono essere “alimentati” da stimoli luminosi, elettrici o chimici. Sono sistemi nanometrici (il nanometro è la miliardesima parte del metro) che rispondono alla logica binaria (si/no; destra/sinistra; ecc) e quindi possono essere utili per miniaturizzazioni estreme di sistemi informatici, oppure come sensori anche in medicina. Difficile prevedere tempi per applicazioni industriali, come sempre accade per le ricerche di frontiera.
Nell’introduzione ho citato la sua passione civile che l’ha portata a fondare il corso interdisciplinare Scienza e società. Certamente lei non incarna il modello del ricercatore chiuso nel suo laboratorio, avulso dai problemi del mondo. E’ noto inoltre il suo impegno pubblico in varie campagne referendarie che riguardavano questioni energetiche. Intendo il referendum del 2011 per l’abrogazione delle norme che consentivano nuovamente la produzione nel territorio nazionale di energia elettrica nucleare, e il referendum dell’Aprile di quest’anno per l’abrogazione della norma che estendeva la durata delle concessioni per estrarre idrocarburi in zone di mare, impropriamente denominato “referendum contro le trivelle”. Mi piacerebbe capire quali sono le origini di questa forte passione civile che la contraddistingue?
E’ un dono che ho ricevuto e poi coltivato anche per alcune vicende familiari. Mi piace stare dalla parte dei più deboli e della natura. Non posso sopportare quelli che pensano di sapere tutto e di poter risolvere da soli tutti i problemi. Credo che anche la scienza, da sola, non potrà mai portarci là dove dovremmo andare: verso una società più giusta, verso la pace.
Come ricercatore e come divulgatore ha scritto molti libri che hanno come filo conduttore il tema energetico. Dalla produzione di energia attraverso processi fotochimici alla spiegazione di come le energie rinnovabili rappresentino l’unica seria scelta su cui orientarsi.
Quale è il suo parere sulle politiche energetiche che si fanno in Italia? Quali sono gli aspetti positivi? e quali le criticità maggiori?
In Italia chi ci governa, anche a livello regionale, non ha capito o non vuole capire che la transizione dai combustibili fossili alle energie rinnovabili è inevitabile ed irreversibile e che bisogna accelerare, non ostacolare questa transizione. La transizione energetica è il fondamento per passare dall’economia lineare dell’usa e getta all’economia circolare dell’efficienza, del risparmio, del riuso e del riciclo, l’unica via per costruire un futuro sostenibile, l’unico futuro possibile.
Cercare di estrarre le ultime gocce di petrolio dall’Adriatico, col rischio di fare danni ecologici, oppure promuovere la costruzione dei nuovi SUV Lamborghini, emblema del consumismo e delle disuguaglianze, sono azioni che vanno in direzione opposta a quella di un futuro sostenibile e di una società più equa. Penso sia molto importante far sentire ai politici la voce degli scienziati e proprio per questo coordino il gruppo energiaperlitalia.it. Purtroppo non ci ascoltano.
Il 2015 ha visto Papa Francesco scrivere l’enciclica “Laudato sì” rivolta a tutti gli esseri umani, per richiamare la loro attenzione alla gravità dei problemi ambientali che minacciano l’umanità, specie i più poveri del pianeta. Ma non solo. Sul fronte laico, COP21 di Parigi ha prodotto un accordo internazionale sottoscritto da tutti i paesi presenti al summit. Pur con evidenti limiti, tale successo diplomatico era impensabile solo qualche anno prima. Rispetto allo scenario globale del pianeta, con un’umanità che deve dare rapide risposte ai problemi energetici e alle minacce, più che incombenti, dei cambiamenti climatici, quale è il suo stato d’animo? Cosa prevede? In altre parole, dentro di lei prevale un motivato pessimismo per il futuro, o ritiene che c’è ancora spazio per un cambiamento radicale dei nostri comportamenti sociali ed economici?
Secondo me i due eventi da lei citati, l’enciclica di papa Francesco e la COP21 di Parigi, hanno fatto girare il vento, hanno causato una svolta. Economia e politica sono rimaste spiazzate da due prese di posizione così autorevoli. L’economia ha presto capito che la transizione energetica è inevitabile e che quindi, come ha detto un grande manager, è inutile andare contro corrente. Meglio assecondare la transizione e cercare di coglierne i vantaggi. Questo mi fa essere ottimista sul fatto che potremo evitare la degradazione del pianeta, l’unico luogo in cui possiamo vivere. Sono meno ottimista sul fatto che la gente, specialmente i politici, capiscano che, poiché siamo tutti sulla stessa “barca” (o astronave, come diciamo noi), potremo vivere in pace solo se riduciamo le disuguaglianze che sono le cause di guerre, rivoluzioni e migrazioni. E’ anche vero che non possiamo aspettare che sia la politica a fare tutto. Ciascuno di noi, nel campo in cui opera, con le competenze di cui dispone, nella situazione in cui si trova, deve sentirsi coinvolto in questa sfida mettendo in gioco le preziose energie spirituali che caratterizzano l’uomo: responsabilità, sobrietà, collaborazione, solidarietà, amicizia, creatività.
Negli Stati Uniti tra pochi giorni si insedia il nuovo Presidente Donald Trump. Nelle sue dichiarazioni in campagna elettorale ha più volte negato la minaccia climatica e ha preannunciato il rilancio delle attività estrattive legate al carbone e agli idrocarburi.
Lei che opinione ha? Ritiene che siano effettivamente posizioni politiche che andranno ad incidere in modo determinante sui processi di decarbonizzazione che timidamente si cerca di progettare?
Ho letto recentemente un articolo di Obama su Science. Dice, molto giustamente, che non saranno le eventuali scelte politiche sbagliate a breve termine e in un solo paese ad impedire l’inevitabile transizione energetica. Potranno solo ritardarla. Più probabile che presto Trump ed i suoi consiglieri si rendano conto che non si può tornare indietro, pena bloccare l’economia americana, che ha ormai preso un’altra strada.
La sua attività di docente universitario le ha dato l’occasione di avere uno stretto contatto con il mondo degli studenti. Che rapporto ha con il mondo giovanile? Alla luce delle oggettive difficoltà che pesano sul futuro delle giovani generazioni, ha qualche suggerimento o indicazione che vorrebbe rivolgere loro?
Sono tempi duri per un insieme di ragioni e per molti sbagli che ha fatto la mia generazione. Il suggerimento è di vivere con passione, scegliere il campo di studi nel quale si sentono più portati e di non temere di sviluppare e proporre idee nuove.
Vorrei chiudere questa nostra piacevole chiacchierata con una domanda particolare.
Nelle sue conferenze pubbliche ogni tanto le capita di citare frasi tratte dalle Sacre Scritture. Mi piacerebbe che ci parlasse di come vive la dimensione spirituale della vita. Come riesce a coniugare dentro di lei il rigore del metodo scientifico e la dimensione soprannaturale della fede? Per la sua personale visione della vita, l’umanità avrà un futuro grazie alle tecnologie, oppure perché sarà capace di fare un salto evolutivo verso una maggiore maturità?
Non trovo contraddizione fra scienza e fede. Sono su due piani diversi, ma non scollegati. Per quanto posso dire io, scienza e fede non solo non si escludono, ma si rafforzano a vicenda. La scienza risponde alle domande “come avviene che …”. Ci sono domande alle quali la scienza, invece, non potrà mai rispondere e che mi interessano ancor di più: che senso ha la mia vita? cos’è l’amore? perché c’é il male? cosa c’era prima del Big Bang? che significato ha l’evoluzione, dall’energia primordiale alla materia cosmica, alla vita, all’uomo, essere che ama, che pensa, che prevede, che ha sete di conoscere e che non è mai soddisfatto? In generale, la scienza non può rispondere a tutte quelle domande che iniziano con “perché?”. Pensando alle meraviglie dell’universo immenso o a quelle delle nostre nanometriche macchine molecolari, non posso che concludere che c’è “qualcosa” molto più grande di noi e di tutta la nostra scienza. Questo “qualcosa” penso sia “qualcuno”: Dio. Sapere che è tanto più grande di noi e che è sceso fino a noi in Gesù per accoglierci con misericordia ed insegnarci ad amare mi consola molto e mi dà fiducia. Io credo nella Divina Provvidenza che mi ha fatto incontrare al liceo una ragazza di nome Carla, ora mia moglie, e una scienza di nome Chimica che mi ha dato tante soddisfazioni, compreso il premio Nobel mancato; e che, quando non ero più giovanissimo, mi ha fatto incontrare una persona, un sacerdote, che ha aperto molte finestre nella torre d’avorio nella quale andavo rinchiudendomi.
Grazie di cuore prof. Balzani del tempo che hai voluto dedicare ai lettori di Vivere Sostenibile!
L’articolo originale è stato pubblicato su Vivere Sostenibile – n. 37 marzo 2017