Incontrarsi al bivio tra vivere e morire

Sophy Banks co-fondatrice della Transizione Interiore per il Transition Network ci illustra il suo prossimo workshop in Italia con Ellen Bermann "Incontrarsi al bivio tra vivere e morire”, dal 3 al 8 ottobre 2019 presso Eden Sangha.

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Incontrarsi al bivio Sophy banks Ellen Bermann

È passato quasi un anno da quando ho letto l’articolo su “Deep Adaptation” di Jem Bendell, che esamina la scienza del clima di un anno prima e conclude che siamo vicini ai principali punti di non ritorno climatici che destabilizzeranno il nostro mondo nel prossimo futuro.

Sono stata profondamente influenzata dal suo scritto. Ho lavorato nel Movimento delle Città di Transizione per un cambiamento locale positivo per oltre un decennio, lasciandolo nel 2016 per una pausa veramente necessaria. Mentre leggevo il documento di Deep Adaptation ho sentito che la storia alla base della Transizione si dissolveva e qualcosa di nuovo prendeva il suo posto. Ritengo che la transizione sia ancora necessaria e che gran parte dell’apprendimento da quel movimento sia ancora un’informazione vitale. Ma la trama che raccontavo per incoraggiare le persone a impegnarsi per la transizione doveva cambiare.

Non esiste più un mondo stabile in cui abbiamo tempo per capire le cose, pianificare e realizzare la nostra discesa energetica. Il futuro in cui agiremo sarà quello di un’aumentata e accelerata instabilità climatica. Quest’estate – con gli incendi violenti, le ondate di calore, le temperature in aumento e altro ancora – mi conferma che stiamo iniziando a vedere gli impatti accelerati della crisi climatica.

Parlo spesso delle diverse storie del futuro che occupano la nostra sfera personale e collettiva. Penso che sia estremamente utile vederle tutte dispiegate e notare come possiamo scivolare da una all’altra senza accorgercene. Tuttavia la storia di cui abbiamo più bisogno è quella più assente: dove siamo realistici riguardo ciò che sta succedendo e dove ci riuniamo per affrontare il tutto con coraggio, saggezza e volontà di lasciar andare i nostri interessi individuali per dare le migliori possibilità alla vita futura.

A dicembre 2019 ho fatto parte di un gruppo che ha organizzato un workshop intitolato “Deep adaptation Deep Dive” nel Devon, Regno Unito. E’ stato fatto all’ultimo minuto, pieno di contenuti, facilitato da quattro di noi, con persone che arrivavano e andavano ogni giorno e oltre 70 persone che hanno partecipato all’intero evento di 5 giorni. Molte persone hanno offerto presentazioni, c’erano gruppi di discussione, esplorazioni degli aspetti di collasso, catastrofe ed estinzione e molto altro.

Ho co-organizzato un altro ritiro che si è concluso domenica scorsa con un gruppo di 9 persone. Tanti contenuti e molto tempo per la loro digestione, il silenzio e il sostegno del sole caldo e degli spazi aperti di Dartmoor, un angolo del Devon ancora molto selvaggio.

In entrambi seminari ci sono stati esercizi esperienziali che ci hanno permesso di incontrare la realtà che un giorno moriremo, e delle forme di cerimonia del dolore in cui tutti possiamo lasciar andare alcuni dei sentimenti che portiamo – trasformando quello che spesso è un peso in una forza di connessione con la verità, con se stessi e con gli altri. Entrambi hanno offerto spazio per la riflessione e sessioni all’aperto.

Vorrei condividere qualcosa del mio viaggio e quello che ho imparare da questi seminari. In ottobre Ellen Bermann e io offriremo un altro spazio per affrontare le crisi planetarie e umane e come incontrarci e trovare una risposta significativa a queste. Penso che sia essenziale avere spazi condivisi per affrontare queste informazioni – per stare con altri che a loro volta hanno sentito questo richiamo, dove possiamo portare più di noi stessi e scoprire di più su ciò che è profondamente vero per noi in questi tempi.

Ci sono tre aree di questo lavoro che ritengo essenziali.

Imparare il paesaggio del trauma

La presenza del trauma sta alla base di ogni capacità umana di credere a ciò che non è vero anche quando abbiamo le prove contrarie, di danneggiare noi stessi e gli altri, di perseguire i benefici individuali come se il nostro benessere non fosse assolutamente intrecciato con quello di tutta la vita. Finché non impariamo a lavorare con il panorama del trauma in noi stessi, nei nostri gruppi e nella nostra cultura, è probabile che il trauma e i suoi impatti ci stiano guidando. Cioè, non abbiamo la libertà di vedere le cose come sono, di scegliere come rispondere o di sapere che stiamo creando progetti o comunità sani. Se pensiamo che il male sia là fuori nelle altre persone e noi siamo i buoni, i nostri pensieri sono già gestiti dal nostro trauma e la nostra negazione del nostro danno a un certo punto saboterà i nostri sforzi per creare comunità.

Comprendere il trauma non è difficile. Ma ci vuole impegno e supporto collettivo per imparare a lavorare con esso. Ci vuole volontà per provare sentimenti difficili – di sopraffazione, paura, vergogna, impotenza. E per sentire queste cose abbiamo bisogno del supporto che mancava quando è stato creato il trauma – un amorevole sostegno. Quando permettiamo al nostro dolore di emergere, man mano che acquisiamo intuizioni cognitive, mentre impariamo a sostenere gli altri e noi stessi, possiamo estendere la nostra capacità di accogliere e rimanere presenti a ciò che è.

Comprensione del collasso

Esplorare la crescita, il collasso, il rinnovamento, la catastrofe e l’estinzione mi ha portato a una comprensione più profonda della nostra paura collettiva del collasso. Eppure per la natura, così come per le popolazioni tribali, il collasso sarebbe una parte normale del ciclo della vita. In Australia gli aborigeni indurrebbero un mini-collasso dando fuoco a una parte della foresta – ritenuta dagli occidentali una distruzione ignorante. Solo più tardi abbiamo capito che la creazione di questi piccoli crolli regolari ha favorito un continuo processo di rinnovamento che ha sostenuto il benessere a lungo termine dell’ecosistema.

La più grande intuizione del primo seminario è stata che la vita sulla terra ha bisogno del collasso del sistema di crescita industriale globale. Scriverò di nuovo quella frase. La vita sulla terra, dalla quale non siamo separati o indipendenti, ha bisogno del collasso del sistema di crescita industriale globale.

In un’esplorazione del “business as usual” – crescita continua, i partecipanti al secondo seminario hanno presto capito che quando evitiamo di fermarci, il collasso diventa inevitabile e più evitiamo di riposare, più estremo sarà il collasso. Per questo, naturalmente, il burnout è così diffuso tra gli attivisti, nonché tra le persone nelle professioni di cura e molto altro.

Questo evitare di una parte del ciclo di vita che riguarda il fermare l’attività, il riposo, l’integrazione, il lasciarsi andare, arrendersi, fa parte di un modo disfunzionale di pensare che è particolare per alcuni tipi di cultura umana. Ho capito che deriva da una visione del mondo traumatizzata.

Comprendere la natura del trauma e come il nostro pensiero personale e collettivo traumatizzato crea distorsioni e gran parte del nostro comportamento distruttivo. Avere modelli semplici dell’impatto del trauma ci aiuta davvero a riconoscere quando siamo poco centrati e vediamo le cose in modi distorti, oltre a sostenere noi stessi e gli altri per tornare a centrarci.

Incontro con la morte

Da tanto tempo che che mi interesso al tema della morte – qualcosa che fa parte di molte tradizioni spirituali. Ho simulato diverse volte la mia morte e lo consiglio vivamente come pratica regolare. In tale pratica scegliamo deliberatamente di affrontare la verità che verrà un giorno che sarà il nostro ultimo giorno, che un respiro sarà il nostro ultimo respiro, e quindi l’animazione dei nostri corpi cesserà. In quel momento di morte perderemo tutto ciò che è legato alle nostre vite incarnate. Trovo utile sapere che tutte quelle persone e quegli animali che mi hanno preceduto hanno già varcato quella soglia.

Ogni volta che mi sono impegnata in questo processo ho trovato il sollievo che si avvicina alla fine del lasciar andare. Anche se c’è dolore, c’è una fine. E diventando più connessa alla lunghezza finita della mia vita mi permette sempre di dare senso al mio corpo vivo, che respira e si sente più connesso, più impegnato ad agire per la vita, meno infastidito dalle preoccupazioni banali della mia personalità. È un cliché che alla fine della vita sappiamo cosa è veramente importante, e di solito ha più a che fare con l’amore degli altri e l’apprezzamento delle cose buone della vita, anche nelle difficoltà, e meno con i risultati e i guadagni personali.

Ho incontrato diversi giovani che stanno affrontando il dilemma se avere figli oppure no in questo particolare periodo. Quando sono in contatto con verità più profonde della vita e della morte, posso aprirmi alla possibilità che qualsiasi vita, anche breve, possa avere significato e gioia, possa essere preferibile al non vivere affatto. E allo stesso modo, ogni istante che ho è prezioso. Non va sprecato.

Deve essere speso nell’amare piuttosto che nell’odiare (e talvolta anch’io sono nell’odio).

Comunità, connessione, relazioni

Al centro di questo lavoro c’è la necessità per noi di capire chi siamo come esseri umani, e al centro di ciò che siamo c’è la nostra assoluta dipendenza dalle relazioni. Questo è il motivo per cui il nostro senso di appartenenza e di avere un posto sono così importanti, perché ci infiammiamo così rapidamente se qualcosa disturba il nostro senso di sicurezza, di essere visti e apprezzati, di essere ascoltati e ricevere risposta.

Quando siamo gestiti dai nostri traumi, i gruppi sembrano spaventosi, le altre persone sono là fuori per farci del male, dobbiamo lottare per soddisfare i nostri bisogni. Quando torniamo in un luogo in cui le stesse persone sembrano amichevoli, loro vogliono aiutarci e siamo tutti insieme nel voler soddisfare i bisogni degli altri così come i nostri. Ho visto questi cambiamenti accadere nella realtà, in me stessa, negli altri e nei gruppi in una frazione di secondo.

Imparare a creare una cultura dove costruiamo continuamente una buona realtà è forse l’abilità più importante di questi tempi. Laddove approfondiamo la nostra fiducia in modo tale che anche quando qualcosa ci scuote “ci rivolgiamo l’uno verso l’altro e non uno contro l’altro” – nelle parole di Joanna Macy (descrivendo lo scopo del suo Lavoro che si riconnette).

I quattro elementi essenziali di questa cultura sono:

Apprezzamento – di sé, degli altri, della vita. Assaporiamo ciò che è buono, nutriente e gioioso.

Celebrazione – quando succede qualcosa di buono ci prendiamo del tempo per notarlo e festeggiare.

Gratitudine – sentire come le nostre vite dipendono da così tanti esseri e relazioni che possiamo continuamente ringraziare per tutto ciò che sostiene e nutre il nostro essere.

Accoglierci a vicenda – poiché la vita comporta inevitabilmente sentimenti dolorosi, dobbiamo quindi essere ripetutamente accolti, tirati nella vita. Senza questa continua accoglienza possiamo andare alla deriva, diventando sempre meno presenti a ciò che è buono.

Il mio desiderio per tutti noi in questi tempi è che le opportunità che derivano dal crollo delle vecchie credenze e sistemi possano liberarci di vedere le cose in modo nuovo, possano cambiare le nostre priorità e consentire verità più profonde sulla vita, morte, crescita, collasso, connessione ed emergente modo di essere umani.

Mi impegno a perseguire questa ricerca fino al mio ultimo respiro. Se qualcosa ha senso per me in questo momento in cui la nostra capacità umana di avidità e distruzione sembra avere sempre più potere e sta mettendo in atto la sua oscura fantasia, è che possiamo sempre risvegliarci alla verità e possiamo scegliere come rispondere.

Man mano che la desolazione e la sofferenza di quel modo di essere sono scritte sempre più grandi su tutto il nostro pianeta, possiamo offrirci un maggiore impegno per la verità, per amarci l’un l’altro, per servire tutta la vita.

È possibile che in questi tempi possiamo vivere i giorni più appaganti e significativi, svegliandoci come mai prima d’ora alla bellezza – come fanno alcuni che hanno una diagnosi terminale. Penso che possiamo farlo solo se impariamo a superare la paura, l’indignazione e l’intorpidimento che questa situazione comporta. Spero che troviate il supporto e la connessione amorevole per farlo, sia con la famiglia che con gli amici, nei vostri progetti e organizzazioni, nella vostra comunità.

Ci sono molte persone che offrono seminari sui temi di Deep Adaptation che potrete trovare in rete.

Se vuoi esplorare questi temi con me in un seminario “Incontrarsi al bivio tra vivere e morire”, dal 3 al 8 ottobre 2019 sarò in Italia e ne co-faciliterò uno con Ellen Bermann presso Eden Sangha (Biella, Piemonte). Sarà in inglese con traduzione all’italiano per chi ne avrà bisogno.

Traduzione di Ellen Bermann

Per informazioni ed iscrizioni scrivete a ellen.bermann@gmail.com oppure chiamate il 3929059542.

FB: https://www.facebook.com/events/352693472105359/permalink/391442031563836/

Modulo d’iscrizione:

https://forms.gle/8KzpGPRjGMhWbAaf9

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