
La permacultura ha una storia quarantennale ed è ormai un movimento di respiro globale. Come descriveresti il movimento allo stato attuale? Che fase sta attraversando?
Agli albori della permacultura, quando Bill Mollison cominciò a insegnare il PDC, aveva l’abitudine di fare una lezione di natura sociale chiamata “The evidence to act” (trad: la prova dei fatti).
In questa sessione, Mollison evidenziava gli squilibri che il pianeta affrontava a causa della relazione scriteriata che gli essere umani hanno con il proprio habitat.
Molte persone si sentono a disagio quando si punta l’attenzione a questo genere di problema per il fatto che è “evidente” che l’uomo sta distruggendo il pianeta.
Al giorno d’oggi è molto raro trovare un insegnante che tratta questa sessione durante i propri PDC perché è così evidente che può diventare frustrante per gli studenti, molto di più di 40 anni fa.
Se guardiamo al movimento della permacultura in questo momento, credo che ci sia ancora molta strada da fare, tanto da imparare, tanta pratica da fare e così poco tempo.
Non è mai stato così necessario e non è mai stato così alla portata di tutti.
Ci sono ancora molti orti-giardini da fare e molte abilità da sviluppare e lentamente stiamo diventando sempre più consapevoli.
Le strutture sociali della nostra società sono come un cavallo imbizzarrito che corre senza una direzione precisa, non siamo mai stati così vicino a collasso eco-sociale e continuiamo a passare la maggior parte del nostro tempo davanti a un computer invece di pensare alla nostra vita e al potenziale che potremmo esprimere.
Molto spesso in permacultura troviamo 2 tipi principali di personalità.
La prima è quella del pioniere, proprio come Bill Mollison, forte, diretto e con uno strano senso dell’umorismo.
Questi sono quelli che “puliscono la giungla“, si trovano ad affrontare un sacco di resistenza per via delle loro idee e fanno pressione affinché la società faccia attenzione ai nuovi paradigmi.
Poi abbiamo gli amministratori, che di solito hanno un’ottima capacità di gestione, ci sanno fare con la finanza, computer, marketing e design su larga scala. Questi sono quelli che di solito sanno sviluppare dei progetti dimostrativi in maniera efficiente e nel lungo termine e sanno mettere in atto strategie di gestione efficiente nel “modo voluto“.
Un buon permacultore dovrebbe avere entrambe caratteristiche ed essere in grado di progettare in maniera pienamente olistica, con una profonda comprensione dei flussi di energia in questa rete di elementi resilienti e a più dimensioni.
Io personalmente credo che per vedere il mondo pienamente in permacultura, ci vorranno almeno 3 generazioni, quando le persone smetteranno di parlare di permacultura e cominceranno a viverla pienamente come uno stile di vita naturale ovvio.
Molto spesso Bill terminava quella lezione dicendo … “Ora, se avete intenzione di uscire e fare permacultura fate attenzione a una cosa… per ogni mille persone che parlano di permacultura, ci sarà solo uno che la farà realmente e vivendo… su, diventa quel tipo! “
Quelle parole mi hanno fatto sentire piccolo e da allora ho cominciato a fare più attenzione alla importanza delle cose semplici e il potere che è in questo momento abbiamo in linea con i nostri cuori, menti e le mani.
Per me questa è la vera prova dei fatti, l’evidenza che quando siamo ispirati, abbiamo una visione e siamo pienamente connessi alla forza della natura non c’è alcun “collasso” che ci possa fermare. La nostra vita va avanti.
Più nello specifico, ci descrivi lo stato di salute della permacultura nel tuo Paese?
Hummm … Non sento di appartenere ad alcun paese in particolare. Sono nato per caso in un posto che alcuni chiamano Portogallo ma mi vedo molto di più come un cittadino iberico o mediterraneo con delle contaminazioni subtropicali mumbo jambo. Hehehe
Vedo molte organizzazioni a livello mondiale che hanno messo una “bandiera” accanto al loro nome o qualche volta si presentano come l’organizzazione che rappresenta il mondo intero… l’ho fatto anche io in passato. Credo che stavo seguendo i modelli del tempo.
A livello pratico a questi organismi nazionali mancano la vera rappresentanza dell’intera comunità di permies del loro paese e spesso si concentrano su uno specifico tipo di classe sociale. Mi piacerebbe vedere una maggiore varietà sociale e integrazione.
Massimo d’Azeglio, un personaggio storico del nostro Paese, quando l’Italia fu unificata, nel 1861, disse: “Ora che abbiamo fatto l’Italia, dobbiamo fare gli Italiani”. Ci è capitato di pensare che ogni permacultore attivo è concittadino di un mondo migliore alla cui partecipazione sta contribuendo e per questo dovrebbe essere fiero di sé. Ti chiediamo: ora che abbiamo fatto la permacultura, come possiamo fare i permacultori?
Credo che sia davvero importante abbandonare questa delicata faccenda del nazionalismo, perché non funziona e crea divisione tra le persone. Scommetto che ci sono un sacco di persone che leggono questo articolo stanno avendo la pelle d’oca per via di questo inefficiente pattern nel mondo della permacultura.
Il mio obiettivo personale è quello di aver la possibilità di interagire con più di 30 “paesi” e di far parte quelle organizzazioni che operano a livello mondiale e che fanno ricerca in maniera pratica sulle differenti regioni climatiche e che sostengono le persone meno abbienti e affette da malattie gravi.
“Alla fine non abbiamo molto tempo per pensare alle nazioni”
Dopo tutto io vivo in un’isola in Africa che è stata invasa dalla Spagna e tutti gli indigeni che ci vivevano sono stati uccisi dai conquistadores.
In quale specifico campo della permacultura stai lavorando al momento?
Alla New School Permaculture, ci infervoriamo quando discutiamo di bioregioni e di cosa possiamo fare per promuoverle. In fondo, siamo molto fortunati a vivere nel posto posto con più biodiversità in Europa e con il miglior clima del mondo, è nturale che ci sentiamo speciali per il fatto di vivere a Tenerife… così alla fine ci sentiamo come una sorta di neo-guanches che cercano di recuperare le patate dolci originali che sono state “deportate” in Europa dai primi conquistadores.

E qua che viene il bello! Sappiamo quello che facciamo.
Per me non si tratta di conoscere permacultura e neanche fare permacultura. Per me occorre essere permacultura.
Occorre sviluppare un mycorriza invisibile che collega tutte le dimensioni naturali infinite intorno a noi.
Potrebbe sembrare complicato, ma la cosa più semplice che so è che dobbiamo partire dall’essenza di ciò che significa essere umano a prescindere dalla nazionalità.