Franco è un mugnaio, uno dei pochissimi rimasti in circolazione. La sua famiglia ha sempre fatto questo da almeno cinque generazioni.
Tutti i componenti, dagli zii al nonno, erano mugnai, ciascuno dei quali aveva il proprio mulino.
Dopo la guerra, il papà ne acquistò uno in pietra per conto suo. L’anno di costruzione si legge ancora scolpito in un arco: 1822.

Franco, trenta giorni dopo la nascita, fu portato al mulino. Ci trascorse tutta l’infanzia. La farina, come lui dice, ce l’ha nel sangue.
Il papà ci lavorava e Franco lo aiutava. La sorgente, da cui il mulino attingeva l’acqua, ad un certo punto con la siccità si ridusse e di tanto.
Senza più la possibilità di lavorare e avanti negli anni, il padre chiuse l’attività.
E’ stato un peccato abbandonare quel contesto. C’era la cascata, il mulino, il canale in leggera pendenza che portava l’acqua. Quel mulino è rimasto chiuso per vent’anni.
Nel 2000 Franco ha pensato di recuperare da solo la parte edile e, con essa, una parte della sua vita. Ha impiegato sei anni.

Al termine dei lavori, c’è stata l’analisi alla pietra delle sue macine da parte delle autorità sanitarie. Oggi è normale, ma dieci anni fa sembrava un’operazione marziana.
Franco si è scelto le pietre in una cava, le ha progettate nella forma delle macine attuali, le ha calibrate e ha ricominciato a fare il mugnaio, che non è un lavoro ma un impegno d’arte.
Immaginiamo una sorgente, un canale (la saia) che porta l’acqua, un contenitore di pietra a forma di tronco di cono (il bottino) dove cade l’acqua, dopo un salto calcolato di dieci metri. Da qui, infine, l’acqua passa ad una ruota (la turbina) che fa muovere le macine.

Come un ingegnere idraulico, il mugnaio deve regolare la portata dell’acqua, prima in alto, al canale, in modo che il bottino sia sempre pieno e, poi sotto, per far passare l’acqua dal bottino alla turbina che aziona le macine.
Tanto di acqua entra e tanto ne esce.
E’ un gioco perfetto e armonioso di tarature, ma anche uno spazio dove l’uomo interviene cambiando, con la misura del rispetto, il territorio.
Nei primi anni, Franco invogliava gli agricoltori locali a seminare varietà antiche di grano, che hanno una forza di glutine bassa e assolutamente digeribile.
Ora la situazione si è capovolta. E’ lui a scegliere le persone perché la produzione di grani antichi è troppa rispetto alla sua capacità di molire, che è e deve rimanere, per scelta sua, bassa. Ingrandirsi non avrebbe senso e andrebbe a discapito della qualità.
In un mulino di pietra vero, il chicco di grano viene sfogliato lievemente e leggermente, mano a mano, come un libro. Non è tagliato, violentato e quasi esploso dai tubi, come avviene nei mulini industriali.
C’è un rispetto del prodotto, che solo la lavorazione delle macine di pietra coi loro lenti e ridotti giri al minuto può dare.
La farina che ne esce è tiepida e ancora viva, non un prodotto incandescente che i giri velocissimi di una macchina industriale hanno reso inerte per il nostro organismo.

Franco ha messo su un’attività dove la dignità di chi produce è uguale a quella di chi lo trasforma, perché qui il grano antico viene pagato due volte di più di quello convenzionale.
E la paglia, che i grani locali producono in grande quantità, viene lasciata al produttore, che la usa come foraggio per gli animali.
C’è una conoscenza nell’esperienza di questo mugnaio che va oltre.
E’ la conoscenza del grano, che si porta dietro quello che c’è prima, per seminarlo e raccoglierlo, e quello che c’è dopo, per trasformarlo con una tecnologia che ancora oggi è valida, perché utilizza energia pulita e realizza un prodotto ancora vivo.
Questo è avvenuto sino a una mattina di Novembre del 2016, quando le fiamme di un banale corto circuito hanno avvolto il mulino di Franco, distruggendolo interamente.
Le due settimane successive sono state di autentico shock. Non si è saputo se e in che modo riprendere l’attività. Sono arrivate telefonate dappertutto, in cui si chiedeva come dare una mano.
L’obiettivo di tutti gli amici e’ stato quello di mettere in funzione il mulino in tempi brevissimi e sollevare subito Franco e la sua famiglia dallo shock.
Due giorni dopo l’incendio, quegli stessi amici erano già a seminare il grano per loro.
Si è riusciti a trovare nella vicina Siracusa le macine e da lì con l’aiuto dei cognati, delle figlie e di tanta gente comune, in un mese e mezzo, il mulino ha cominciato a fare le prime prove, andando in macinazione subito dopo.
Questa imponente solidarietà è scattata perché “Franco è naturalmente e fondamentalmente etico” ci rivela l’amico Salvo.
Con lui, produttori, trasformatore e consumatori hanno la stessa dignità. Tutti hanno un vantaggio con la sua filosofia ed è questo che si deve ricercare.
Il mulino l’ha fatto Franco con le sue mani. Quando lui lavora la pietra per le sue macine, sa cosa deve fare. Appena cambia un rumore, perché la macina parla e ha un suono, lui capisce cos’ è ed interviene. Lui è il grano e la sua pietra.

Si tratta di una dimensione altra, che va al di là del grano. Tutti quelli che hanno partecipato a questa grande gara di solidarietà hanno visto che alla base c’è una persona, che è in asse con se’ stessa e vuole esserlo con gli altri. Senza teatro.
Quante volte, vedendo un campo di grano, ci viene la felicità.
Assaggiare una farina, che rispetta tutti, però, va oltre. Diventa arte.
E ci serve, per colorare le nostre giornate.