La biodiversità dilatata (intensità della Natura)*

Dario Orphee La Mendola ci regala una riflessione sul concetto di biodiversità dilatata come funzione ecologica dei singoli viventi in un mondo come quello Occidentale dove la percezione della Natura presenta delle anomalie.

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Biodiversita dilatata

Tra la fine dell’inverno e l’inizio della primavera sono rimasto a casa, da solo. L’unico contatto con l’esterno e con degli esseri viventi è avvenuto su un balcone nel quale ho creato un piccolo vivaio: faccio radicare talee, coltivo aromatiche, organizzo compostiere etc.

Non sono un botanico, né tantomeno ho il cosiddetto “pollice verde”; dunque questo goffo testo sarà privo di scopi. Il fatto è che riposare lo sguardo su quell’angolo verde, e raccontarlo come chi ha ricevuto il permesso di raccontare l’amore, dà gratificazione. E poi, dacché il tempo è una ferita, impegnarmi con le piante suggerisce un ritmo utile a non disperdermi.

Il mio balcone è un rettangolo con piastrelle rosse, esposto a sud-ovest. Di là dal balcone, c’è una distesa di cemento e asfalto che amplia terribilmente la distanza dalle colline e dal mare. La sera, dopo il tramonto, negli appartamenti si accendono le luci, chiazzando il paesaggio di lacrime biancastre e sottolineando in quale fraintendimento siamo giunti.

Durante la primavera le api sono venute a posarsi sulle mie piante

Non ne avevo mai incontrate così tante. Per settimane hanno impollinato i fiori. Mi sono sentito molto vicino a loro. E mentre le osservavo, ho promesso a me stesso che in futuro avrei seminato più mellifere.

I fiori visitati con costanza erano quelli dell’Acetosella gialla [Oxalis pes-caprae], sbocciati da un vaso in terracotta su cui non intervengo per scelta, e che lascio alle varie spontanee (sempre che a esse aggrada crescere lì, è chiaro!).

L’Acetosella gialla non è una specie endemica. È una pianta «nana dalle foglioline che rammentano quelle del trifoglio1». Mi hanno informato, non so se sia vero, che fu introdotta in Sicilia alla fine del Settecento da una donna che, per affetto, la donò a un uomo. Oggi questa pianta è diffusa nel Mediterraneo, ed essendo competitiva si sostituisce ad altre specie, annientando quelle autoctone.
Starsene vicino alle api, in un momento di solitudine, mi ha spinto a comprendere – ancora più profondamente, stavolta – che la presenza della Natura in me è purtroppo “mancante”. Chissà perché:

«[…] non siamo natura, ci sentiamo estranei ad essa, e in opposizione con essa, e vorremmo esser natura e vivere e sentire naturalmente, e tendiamo alla natura come alla nostra patria lontana e assente»2.

Ciò che maggiormente mi infastidisce è accogliere questa mancanza spontaneamente. Per esempio: i miei piedi calpestano il pavimento pulito; con facilità lavo le mani, cucino qualcosa di buono, preparo una tazza di tè, mi sdraio su un letto morbido; quando mi annoio, accendo la radio e ascolto musica; la vicina stende i panni umidi, e il profumo di ammorbidente arriva alle mie narici etc. Non ho sospetti che tale finzione sia una condanna. Quello che dovrebbe rivelarsi spontaneo, invece, è il contrario: la sensazione di mancanza di cui sto scrivendo.

biodiversità dario la mendola

Ecco, ogni tanto questa sensazione viene a trovarmi; ed è leggera, simile a una carezza. Altre volte mi sorprende: mi sorprende nel “bel mezzo” della vita; vita che fa ciò che può per non dichiarare l’errore che è.

Ho chiamato questa sensazione – sensazione di mancanza della Natura – “intensità” (banale?). L’ultima volta che l’ho provata è stato di recente, presso un vigneto abbandonato a pochi chilometri dall’Etna: un manto di nubi mi avvolgeva, e l’intensità riuscì a catturarmi. Un’altra, fu durante una fredda alba al Parco Nord di Milano: ricordo che, a pochi passi dagli Ippocastani [Aesculus hippocastanum], ebbi l’impressione di venir respirato dagli alberi3.
Per il linguaggio dei fiori l’Ippocastano, o meglio il Castagno d’India, indica il lusso:

«Nulla è comparabile all’eleganza del suo aspetto piramidale, alla bellezza delle sue foglie e alla ricchezza dei suoi fiori, che alle volte lo fanno apparire come un immenso decoro interamente coperto da grappoli fioriti. Amante dell’opulenza e della ricchezza, copre di fiori l’erbetta verde che ripara, e offre alla voluttà un’ombra deliziosa. Ma altro non concede ai poveri se non che un bosco rado e un frutto amaro; solo talvolta dona loro un’esigua elemosina riscaldandoli le sue foglie secche. I naturalisti, e soprattutto i medici, hanno attribuito a questo figlio dell’India mille grandi qualità che non possiede»4.

Gli Ippocastani sono infestati dalla Cameraria ohridella, un lepidottero di pochi millimetri. Il fenomeno è stato osservato nel lago Ohrid, nella penisola Balcanica, alla fine degli anni settanta, e descritto nel 1985. Le femmine, a maggio, depongono le uova sulla pagina superiore delle foglie. Le larve, sgusciando, scavano in esse delle mine che possono raggiungere la lunghezza di quattro centimetri.

Da generazione in generazione, le falene si spostano dalla parte più bassa a quella più alta dell’albero. Quando le larve sono molte, e conseguentemente anche le mine, nei caldi mesi di luglio e agosto le foglie seccano e cadono. Le ricerche scientifiche qui si dividono. Alcune hanno dimostrato che la Cameraria ohridella non costituisce particolari problemi di salute all’Ippocastano, perché le falene non riescono a raggiungere le foglie più alte degli alberi, le quali operano la fotosintesi; altre sostengono che il lepidottero può compromettere la salute degli individui.

Avrei una domanda da porre: l’invasiva Acetosella gialla e gli Ippocastani infestati dalla Cameraria ohridella potrebbero rappresentare il sintomo di un’interazione che procede in modo imperfetto? Ho semplificato tantissimo due “eventi” che dovrebbero (me lo auguro) invitarci a mutare alcuni nostri pregiudizi nei confronti della Natura, che per secoli abbiamo piegato culturalmente alla nostra volontà5.

Data l’incertezza alla quale siamo approdati, cambiamo per un attimo argomento. La percezione della Natura, almeno in Occidente, ha delle anomalie; queste anomalie suggestionano irrimediabilmente le analisi che effettuiamo su di lei. Una è quella secondo cui sarebbe lecito non tenere in adeguata considerazione, e addirittura stigmatizzare, gli “atteggiamenti” adottati dall’umanità di ogni zona geografica, fino a qualche secolo fa (escluse poche eccezioni, che le praticano ancora6); tra i tanti atteggiamenti, sorti da una rapporto con la Natura condizionato dal timore, citerei sommariamente la protezione garantita dal genius loci, la relazione tra la luna e le ortive, l’interiorità diffusa dell’animismo etc. Un’altra, maturata a partire dalla rivoluzione scientifica, è quella di intendere la Natura un’unità “classificabile”. Entrambi gli atteggiamenti – ciò suonerà stravagante – sono legati al termine “biodiversità”. Perché?

biodiversità dilatata dario la mendola

Il termine Biodiversità

Il termine biodiversity è stato coniato nel 1985. Comparve per la prima volta al “National Forum on BioDiversity”, tenutosi a Washington tra il 21 e il 24 settembre del 1986, e nel titolo degli atti del convegno pubblicati nel 1988, curati da Edward O. Wilson. Riflessioni simili, sulla varietà della vita, erano state eseguite anche in passato: Platone, il quale ovviamente non si occupava di problemi ambientali, fece trasparire in un dialogo che l’Essere si distribuisce nella molteplicità7.

Non c’è una definizione univoca di biodiversità – e questo è coerente! –, nonostante tutte tendano a tutelare un “valore”: e cioè che la vita è un insieme di componenti non indipendenti, i quali si influenzano tra loro8 (associo appositamente una delle tante definizioni di biodiversità al sostantivo “valore” per rimarcarne la qualità). Ritengo, nondimeno, che la percezione delle componenti della biodiversità non possa ridursi alla mera somma delle specie, ma abbia il compito di integrare un’intuizione sentimentale9, che custodisca nel nucleo quel rapporto con la Natura condizionato dal timore: poiché la tutela della Natura ha luogo nella nostra intimità, nelle responsabilità collettive, nella sua misteriosità.

Pertanto il termine biodiversità, oltre a tutelare un valore, dovrebbe dilatarsi, mutare in un termine aperto, non gerarchico, che rincorra se stesso e che accolga più della complessa varietà della vita, più della funzione ecologica dei singoli viventi, affinché l’ossessione tipicamente umana di regolare la Natura venga preceduta da un’altra componente non indipendente: l’etica; o, più correttamente, un’etica inclusa in una τέχνη (technē), il cui saper fare sia ispirato dalla saggezza della Terra, una saggezza che sperimenta l’intensità della mancanza, le stagioni che si tengono per mano, il sogno che tremula dentro i boccioli o le gemme, i danni causati dal nostro impatto, e il silenzio, e i paradossi, l’ironia:

«Sembra che la natura si sia divertita a variare lo stesso meccanismo in una infinità di modi diversi. Essa abbandona un certo tipo di prodotto solo dopo averne moltiplicato gli esemplari sotto ogni possibile aspetto. […] È una donna che ama travestirsi e i cui diversi travestimenti, lasciando intravedere talvolta una parte talvolta un’altra, danno qualche speranza a coloro che la seguono con assiduità, la speranza di conoscerne un giorno l’intera persona»10.

Adesso è sera e sono sull’uscio del balcone. Sento che in questa intensità non c’è sacralità, bensì un sottile dolore. Il Sole, infatti, non sta tramontando; sta fuggendo. Le giornate sono più corte, l’aria è fresca. L’orizzonte, con un mazzolino di luce rosa, corteggia l’autunno: ho nuvole piene di pioggia sugli occhi.

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1 William Robinson, Il giardino naturale.

2 Friedrich Schiller, Sulla poesia ingenua e sentimentale.

3 Sulla manifestazione della Natura, cfr. Proclo, Commento alla Repubblica: «I demoni che presiedono alla Natura ci rivelano i loro doni, in sogno o in veglia, per mezzo di certe apparenze fittizie, o tramite oracoli oscuri, o dicendo una cosa per l’altra, o facendo apparire ciò che non ha forma grazie a similitudini dotate di forme, o facendo apparire altre cose per mezzo di figure corrispondenti, tutte pratiche di cui sono infarcite le cerimonie sacre e i drammi mistici, nei luoghi di iniziazione, drammi che per l’appunto agiscono sull’anima degli iniziati con ciò che hanno di segreto e inconoscibile».

4 Charlotte de Latour, Il linguaggio dei fiori.

5 Cfr. John Stuart Mill, Saggi sulla religione: «La parola “Natura” ha due significati principali: o denota l’intero sistema delle cose, con l’aggregato di tutte le loro proprietà, oppure denota le cose come sarebbero se si prescindesse dall’intervento umano. Nel primo di questi sensi, la dottrina che l’uomo dovrebbe seguire la natura è priva di significato; l’uomo non ha infatti altro potere che quello di seguire la natura; tutte le sue azioni sono compiute o per mezzo o in obbedienza di una o di molte fra le leggi fisiche o mentali della natura. Nell’altro senso del temine, la dottrina che l’uomo dovrebbe seguire la natura, o, in altre parole, dovrebbe erigere a modello delle proprie azioni volontarie il corso spontaneo delle cose, è altrettanto irrazionale o immorale. Irrazionale, perché tutte le azioni umane, quali che siano, consistono nell’alterare il corso spontaneo della natura, e tutte le azioni utili consistono nel migliorarlo. Immorale, per il motivo che – essendo il corso dei fenomeni naturali zeppo di azioni le quali, quando vengono commesse dagli uomini, risultano degne del massimo aborrimento – chiunque tentasse di imitare nel proprio modo d’agire il corso naturale delle cose sarebbe universalmente considerato e riconosciuto come il più malvagio degli uomini».

6 Ovvero i popoli indigeni, protetti dalla “Dichiarazione dei diritti dei popoli indigeni” approvata dalle Nazioni Unite il 13 settembre del 2007.

7 Cfr. Platone, Parmenide.

8 Cfr. Marcello Buiatti, La biodiversità.

9 Cfr. James Hillman, Il pensiero del cuore.

10 Denis Diderot, Interpretazione della natura.


*Il saggio è stato pubblicato per la mostra “From discipline to Holobiont”, tenutasi durante il Festival della Biodiversità 2020, al Parco Nord di Milano. A cura di Erin Yuhsin Ko, Katherine Yixuan Dong, Xiu Xiong. Opere di Alex Bombardieri, Alessandra Sarritzu, Camilla Alberti, Davide Dicorato, Die Furlani-Gobbi Sammlung, Edoardo Manzoni, Francesco Fossati, Stefano Canto, Matteo Messori.