
Decisi di andare al college invece di passare la giornata a girare la compostiera, preparare il pane o magari portare a temine il progetto del giardino. Il progetto, parte del mio programma di studio dell’ultimo semestre, stava ancora evolvendo nella mia mente e nel terreno.
Sembrava assurdo passare una soleggiata giornata primaverile fra gli scaffali e nellla conigliera di compensato che era l’Istituto di Progettazione Ambientale (I.P.A.), circondato da semplici muri di mattoni che nascondevano l’eccezionale vista della montagna innevata. Ma tant’è, sentivo il bisogno di farmi vedere almeno una volta a settimana, mostrare che ancora ero presente all’Istituto. Beh, almeno l’I.P.A. mi dava la libertà di seguire le mie passioni e stabilire la mia personale agenda; quanto di più lontano da qualsiasi corso di progettazione in Australia.
Percorsi il piccolo atrio scansando le menti disabitate dei miei colleghi che mi ostacolavano la vista della bacheca informativa generale. La bacheca era un groviglio di comunicazioni spillate, messaggi personali, indicazioni e annunci di cancellazione di corsi e seminari, il che rendeva ancora più difficile comprendere la struttura reale e chiara del programma disponibile.
Osservai attentamente la bacheca per qualsiasi annuncio importante o di interesse.
Un seminario, “Come i modelli di uso del paesaggio impattano sullo sfruttamento delle risorse naturali” sembrava abbastanza interessante. MI domandavo se la mia esperienza di coabitazione tendente all’auto-sufficienza in una casa affittata con una padrona amichevole e disponibile potesse essere un valido esempio di discussione per il seminario. Molti dei miei coetanei reputavano assurdo ed una perdita di tempo mettere così tanta energia nel migliorare il suolo e il giardino di una casa non nostra. Beh a dire il vero non era la proprietaria a rendere poco significativo il tutto. La coabitazione con Joe e Sue stava lentamente peggiorando. Era anche comprensibile che volessero un loro spazio come coppia e con il loro nuovo nato. Era tempo per me di andare avanti, cambiare. Era molto difficile però pensare di partire per le vacanze di fine anno di lì a un mese tornando in volo verso l’Australia occidentale col giardino appena sistemato.
Il seminario, e la maggior parte degli interventi dei soliti noti, sembravano abbastanza scontati, ma c’era questo tizio che veniva dall’università il cui contributo mi interessò parecchio. Parlò di come i cacciatori di conigli avrebbero potuto controllare la popolazione di questi (prima della epidemia di mixomatosi) se solo avessero avuto un incentivo con qualche ricompensa dal territorio (di proprietà di allevatori o dello Stato). Non credo che qualcuno colse l’importanza di queste argomentazioni (io non feci menzione dei nostri insignificanti sforzi tendenti all’auto-sufficienza in una casa affittata in periferia). La discussione si spostò di nuovo su come i piani regolatori urbani potessero o no modellare la struttura urbana e l’uso delle risorse.
Finito il seminario andai a parlare con il tipo dell’università.
Alcuni dei docenti, neo laureati e borsisti più anziani lo conoscevano, ma io non lo avevo mai visto prima all’I.P.A. Sarà stato sulla quarantina, o almeno mi sembrava, ben piazzato, una calvizie incipiente e una barba che nascondeva un mento pronunciato. Mani grosse e dita ingiallite dalla nicotina, di certo di un lavoratore pensai.
Ripresi la questione del suo intervento, e parlammo a lungo del problema dei conigli e di molto altro. Il suo modo di pensare ed esprimersi era affascinante; ben piantato ma allo stesso tempo olistico. “Ecologico! “ pensai ma non allo stesso modo dei molti attivisti che si definivano ecologisti, e nemmeno simile a quelli formati nell’accademia, riduzionisti come la maggior parte degli scienziati. Esaurito il nostro tempo, mi chiese perché avevo il braccio al collo. Gli raccontai del mio incidente in motocicletta, e avendogli detto che dovevo lasciare la mia sistemazione a Blacmans Bay, lui mi offrì di stare fino alla fine dell’anno accademico a casa sua in cima a Strickland Ave alle pendici della montagna. Sembrava una soluzione ideale. Il suo nome era Bill Mollison.

David Holmgren
David e Bill da quel giorno hanno collaborato nel definire il concetto di Permacultura e scrivere insieme Permaculture One: a Perennial Agricultural System for Human Settlements, pubblicato nel 1978.
Bill poi continuò scrivendo la mastodontica opera Permaculture: A Designers Manual e insegnando la progettazione in permacultura ovunque nel mondo.
Conosciuto come “il padre della permacultura”, è morto il 24 settembre 2016.
Dopo aver fondato l’Istituto di Permacultura nel 1978, Bill formalizzò il percorso di addestramento dei progettisti, che ha avuto un impatto su centinaia di migliaia di vite, e indirettamente milioni di persone. Per la sua dedizione verso l’umanità, ha ricevuto molti riconoscimenti, incluso il Right Livelihood Award (Premio al Corretto Sostentamento, un premio Nobel alternativo), nel 1981. Ma di tutti i riconoscimenti ricevuti, quello di cui andava più fiero era la Medaglia Vavilov, in particolare per la tenacia, il coraggio e il lavoro del personaggio da cui prendeva il nome, Nikolai Vavilov.
Bill è stato il primo straniero ad essere invitato e ammesso alla Accademia Russa di scienze agrarie.
“Bill mancherà a tutti coloro che lo amavano per la sua forza, il suo coraggio, intelletto, spirito e benevolenza. Ha donato così tanto al mondo: una visione e una cornice per un futuro positivo, un’attenzione particolare ai paesi in via di sviluppo e, soprattutto, speranza.”
Tratto dal The Permaculture Resarch Institute
Traduzione di Lorenzo Costa
Fonte: https://www.permaculture.co.uk/articles/how-i-met-bill-mollison