Uno dei principi base della Permacultura è certamente quello dell’ Osservazione.
Che ci piaccia accoccolarci sull’erba, salire sulla collina, scendere al fiume o arrampicarci sull’albero, ogni bravo permacultore sa quanto sia importante mettersi comodi e osservare quel che abbiamo di fronte, e prendere spunto da ciò che la Natura fa da miliardi di anni, per iniziare a visualizzare il nostro progetto bello e sostenibile. Già, perché chi opera puntando alla sostenibilità generale del sistema conosce il valore di ogni singolo elemento di esso, per quanto microscopico.
E questo vale tanto per un’ Usnea, quanto per una Fumaria, ad esempio.
Ma c’è chi si arroga il diritto di decidere per gli altri in barba alle più comuni norme di buon senso. Ed in barba anche ad ogni tipo di pensiero scientifico al passo con i tempi.
Il Consiglio dei Ministri si sta apprestando ad emanare uno sciagurato Testo Unico Forestale che condannerà l’Italia a rinunciare a buona parte dei suoi sogni di sostenibilità.
“Incremento della fragilità di ecosistemi già deboli (dissesto idrogeologico, maggiore rischio incendi); perdita di superfici naturali; maggior inquinamento; urbanizzazione e cementificazione della montagna; eliminazione di almeno il 40% di boschi nati nei terreni agricoli abbandonati che potrebbero addirittura essere sottratti ai legittimi proprietari qualora essi non dovessero condividere le scelte dettate dall’alto.”
Sono solo alcune delle possibili conseguenze dell’entrata in vigore del provvedimento secondo il Comitato TerrA – Territori Attivi, uno dei tanti gruppi, enti, associazioni che stanno tentando con basi scientifiche di chiedere al Governo di rinunciare a questo piano scellerato, anche attraverso la creazione di un apposito gruppo Facebook.
Scellerato, perché ancora una volta si prediligono gli interessi di pochi al bene di molti.
Nel Testo si legge ad esempio che basterebbe una qualsiasi fitopatologia a consentire il taglio di un bosco. E tra le fitopatologie possiamo ad esempio ricordare la temibile Armillaria, che altro non è se non il chiodino, funghetto commestibile che più che causare la morte di un albero riuscirebbe a mala pena a far venire un’indigestione ai deboli di stomaco.
E ci vuole stomaco ad affermare che per compensare il taglio di un bosco, e quindi la distruzione di un intero ecosistema, si potrà semplicemente pagare pegno, magari costruendo una bella pista da sci al suo posto, chè tanto la legge lo prevede.
La legge…. Ma cosa se ne fa l’Italia di una legge i cui sostenitori hanno affermato allegramente che “ le frequenti inondazioni e frane spesso avvengono in aree ad alta densità boschiva. Il bosco perché possa svolgere al meglio le sue molteplici funzioni deve rientrare in un territorio correttamente gestito” (Presidente del CONAF, Andrea Sisti)
Andando contro ai basilari principi di ecologia? La realtà dei fatti è che il fondamento teorico di questo decreto legislativo è null’altro che la logica interventista e utilitarista di chi vede le risorse naturali come una mammella da cui spremere fino all’ultima goccia di preziosissimo latte.
Latte che rappresenta la linfa del Pianeta, il presupposto di ogni possibile sogno di sostenibilità e resilienza per un Paese che deve necessariamente ripensare le sue strategie di sviluppo se vuole sopravvivere nell’era del cambiamento climatico.
Ma del resto se si continuerà a schiacciare la popolazione sotto il peso insopportabile di leggi emanate per il bene di pochi l’unica possibilità che resta a chi non vuole partire e sceglie di restare a proteggere la sua terra, sarà quella di diventare briganti dell’ecologia.