Da quando sono tornato in Italia, mi è capitato di incontrare più volte Pierre Houben, una montagna di buon umore, pazienza, approccio morbido, occhi dalla fiamma costante come il tempio di Vesta.
Pierre è l’attuale presidente di Transition Italia – Nodo italiano del movimento delle Transition Town, esperto in Sociocrazia e fondatore del sito http://sociocrazia.org
Fra una battuta in inglese (abbiamo entrambi un pessimo humour inglese), una parolaccia in francese, un proverbio siciliano e una gara a chi scoppia nella risata più fragorosa, ecco cosa siamo riusciti a mettere insieme…
Ciao Pierre, bello averti incontrato e aver scambiato quattro chiacchiere. La prima domanda che mi sento di rivolgerti è “chi sei”?
Sono… Pierubén, o Pingus, o Pierre, dipende… alle volte rivesto il ruolo di pioniere, alle volte garzone a bottega… sono anche italiano… da quando avevo 3 anni e sono arrivato in Italia a seguito dei miei… e sono anche Belga, paese dove sono nato… e quando vado in Inghilterra è come se mi sentissi a casa… Uno Nessuno e Centomila? Sono affollato, ho bisogno di un mio metodo decisionale e un metodo creativo per convivere bene con me stesso e ascoltare tutte le voci che ho dentro :))
Cosa rispondi quando la gente ti chiede “Che lavoro fai”?
Rispondo che faccio il Facilitatore, e qui di solito la domanda si ripete, più lenta, con espressione interdetta: “che… lavoro… fai…?” “Facilitatore, facilito gruppi di persone, che siano associazioni, gruppi formali o informali, o organizzazioni a… prendere decisioni, progettare insieme, riunirsi usando strumenti e metodologie diverse; quelle che uso hanno in comune che permettono di progettare e prendere decisioni insieme, ascoltando e integrando tutte le voci e i vari punti di vista presenti” e qui rimangono interdetti un bel po’ e se ne escono con le cose più fantasiose per cercare di capire. È bellissimo non sapere come reagiranno, ogni volta è diverso!
Nel Movimento della Transizione si usano spesso parole affascinanti, che fanno presa, ma che spesso pochi conoscono il significato. Una di queste è “resilienza”. Ci vuoi dire cosa significa per te “resilienza”? Ci puoi fare degli esempi concreti?
Tecnicamente, resilienza, viene dalla fisica meccanica, è una misura della capacità di resistenza agli urti di un materiale prima che perda le proprie caratteristiche; esempio: la capacità del legno di piegarsi prima di… spezzarsi! Una volta spezzato il pezzo di legno ha perso la sua capacità di assorbire l’urto, o il peso quando è troppo.
Si può declinare in tanti modi, nell’ambito personale è la capacità di non farsi travolgere da eventi catastrofici, forti; l’esempio più chiaro, e un po’ forte, che conosco sono due persone che hanno perso entrambe le braccia all’incirca alla stessa età: 18 anni. Hanno reagito in modo molto diverso: uno si è appoggiato completamente ai suoi familiari, ha delle protesi basiche e, per quanto vedo, se la passa bene. L’altro (particolare importante ha perso le braccia andando in moto in pista il giorno del suo compleanno) si è sposato, ha una figlia, è divorziato, ha aperto una concessionaria di moto (la più grande della sua regione), viaggia da solo, collabora col centro protesi artificiali di Budrio (tra i primi due al mondo) testando nuovi prototipi, è risalito in moto! Chi tra i due ha espresso maggiore resilienza?
Potremmo dire in ambito personale che la resilienza è la capacità di far fronte al cambiamento, di dare il giusto (giusto!) peso e tempo a ciò che accade e farne un’occasione di cambiamento in meglio. Troppo ottimista?
Ancora un altro parolone: Sociocrazia! Ho visto che è una delle tue competenze specifiche. Che diavolo significa? E perché è importante imparare la S o c i o c r a z i a?
S o c i o c r a z i a… per me significa che ogni voce è ascoltata e nessuno è ignorato. E questo è particolarmente importante in questo momento storico. Motivo pratico: la portata dei problemi che affrontiamo è talmente complessa che più competenze e punti di vista possono trovare soluzioni collaborando insieme, prima troveremo soluzioni. Motivo umano: maggioranza e minoranza non hanno più senso di esistere, guardiamoci intorno e vediamo cosa hanno prodotto; guardiamo anche non troppo lontano però, nella vita di tutti i giorni, nelle relazioni col nostro partner, coi figli, coi collaboratori, e notiamo cosa succede se ogni voce non è ascoltata, se non troviamo una proposta operativa che possa essere supportata da ogni persona coinvolta.
Per me la Sociocrazia è anche innalzare il livello di divertimento, ingaggio, responsabilità, empowerment (impoteramento?) personale in quello che facciamo, nelle organizzazioni (di qualsiasi tipo) di cui facciamo parte. Ho lavorato molti anni in ambienti in cui tutto questo non era ben visto con giochi di potere malsani; la Sociocrazia porta ad una ridistribuzione del potere che, condiviso, cresce in maniera esponenziale riportando evoluzione e cambiamento per l’organizzazione e l’individuo.
Il nodo culturale che la frena? Il rapporto col potere, con la leadership, c’è un bel guazzabuglio lì. Portiamo profonde ferite ed esempi malsani del passato e al giorno d’oggi. Guardando il vocabolario è interessante leggere la definizione di potere: capacità, possibilità, virtù, dono, dote, padronanza, essere capace, essere in grado, avere la forza, avere la capacità, disporre della facoltà. Tutto ciò ci spaventa, e non stiamo accedendo alla possibilità di imparare l’uno dall’altro, dall’eccellenza che ognuno di noi può esprimere per le sue capacità uniche. Lo facciamo solo se la relazione è “protetta” dalla distanza (un esperto estero, che viene e poi va via, un libro, un video, il web) mentre facciamo una fatica enorme ad accettare che accanto a noi ci possa essere tutti i giorni un “massimo esperto” nel suo unico campo e lo viviamo come minaccia.
La Sociocrazia riporta equilibrio nella gestione del potere, porta equivalenza (parola non scelta a caso) e ri-attizza la creatività e l’auto-organizzazione.
Di recente sei diventato presidente di Transition Italia. Ho sentito che è stato usato il metodo della Sociocrazia. Transizione e Sociocrazia. Ci vuoi raccontare come è andata?
Essere “nominati” (e non eletti) come si dice in Sociocrazia è un’esperienza molto particolare. È un momento in cui si va cercare la persona che per il gruppo di persone è la più adatta a ricoprire il ruolo o funzione di cui si ha bisogno. Si riceve una quantità di supporto tale che, come nominato, è difficile obiettare quando è arrivato il proprio turno e lo si sente direi in modo palpabile.
La Sociocrazia entra in Transition abbastanza naturalmente, prediligendo metodi partecipativi la decisione per maggioranza strideva un bel po’ al momento di prendere una decisione. Dopo aver co-sognato, co-creato, co-partecipato che fai… tieni fuori una parte del coro? Non ha senso! E senso profondo! Così decidemmo nel 2015 di organizzare una mini introduzione alla Sociocrazia il giorno prima dell’Assemblea Nazionale e usare il formato di Nomina per nominare il nuovo consiglio. Da quel momento in poi la Sociocrazia ha trovato il modo, non lineare come è quasi sempre nel caso di Transition, di farsi strada all’interno dei processi decisionali e nell’organizzazione in gruppi di lavoro semi-autonomi.
Una o più canzoni che hai in mente in questi giorni? E perché?
Più che in mente… sono sempre pronte ad accompagnarmi durante la giornata. Ho un rapporto particolare con la musica, è con me molto del tempo, è molto molto diversificata, e soddisfa diversi bisogni, ritmo, riflessione, sogno. In certi momenti direi sincronici porta un messaggio da un qualcosa che vuole emergere, queste due per esempio:
Passenger – House on a Hill ha magnetizzato la mia attenzione e mi ha fatto sognare; si è realizzato con un incontro straordinario in cui tutti gli elementi importanti nella canzone erano lì…
Gianmaria Testa – Nuovo
…e questa parla di novità, è arrivata subito dopo.
A noi piace ridere e scherzare. Molte delle nostre interviste avvengono a cena in una situazione molto gioiosa. Ma proprio quando siamo piegati in due ci scappa la domanda seria. Che speranze abbiamo per il futuro?
Tantissime 🙂 Se sapremo cambiare il nostro approccio!
È un momento straordinariamente critico e straordinariamente pieno di opportunità. Ci chiede di guardarci con una dolce spietatezza, chiederci cosa non funziona e lasciarla andare. È un momento in cui abbiamo davanti in bella mostra, se sappiamo guardare e prendercene la radicale responsabilità, tutte le criticità che sono il prodotto di nostre decisioni individuali che sommate diventano collettive molte volte inconsapevoli o miopi. Quale migliore occasione di dare uno sguardo al feedback, al risultato?
L’importante è non prendersela troppo con noi stessi e fare quello che deve essere fatto, accettare il feedback e cambiare rotta, radicalmente, intraprendendo i passi necessari.
Qualcuno dei nostri lettori ci rimprovera che il termine “sostenibilità” sia desueto e che presto occorre sbarazzarcene al più presto. Piccoli passi: da dove cominciamo?
Sostenibilità per me è fare le stesse cose che abbiamo fatto fino ad oggi ma riportando il conto a pareggio, un esempio: uso delle risorse che non le esaurisca. Un po’ tardi per questo, in questa ottica concordo con il fatto che sia desueto, cioè che non è più al passo coi tempi, abbiamo oltrepassato molti limiti fisici del nostro pianeta che, pur grande, li ha.
Da dove cominciare sembrerà una contraddizione ma è parte di un percorso, a grandi linee:
- valutiamo la sostenibilità del nostro stile di vita e portiamoci in pari con quello
- quando lo avremo fatto e avremo sviluppato quell’esperienza saremo pronti ad andare verso la rigenerazione e a fare scelte più radicali.
C’è chi già lo fa, son persone o gruppi che stanno battendo nuovi sentieri e facendo esperimenti (con annessi gli errori necessari ad imparare) per capire quali direzioni sono le più promettenti.
Permacultura & Transizione in Italia. Due mondi che nello scenario internazionale vanno a braccetto. E in Italia? Che rapporto c’è?
Parla un “Transizionista” che ha fatto anche un corso di 72h di Progettazione in Permacultura e ha diversi contatti e relazioni con Permacultori in Italia e all’estero.
Sono due mondi che operano in modi diversi.
La Transizione sviluppa e sperimenta un approccio per portare consapevolezza e invitare al cambiamento; nasce da un Permacultore, Rob Hopkins, e ha in se molti elementi della Permacultura. Può essere definita Permacultura applicata a livello sociale.
La Permacultura sviluppa e sperimenta un modello di progettazione nella pratica, è molto meno “effimera” rispetto alla Transizione, può essere uno degli strumenti concreti con cui scegliamo di esprimere il cambiamento che vogliamo portare in noi stessi e nel mondo.
Quello che ho notato nella relazione tra i due è che il Permacultore tende a riportare alla sua esperienza di progettazione tutto quello che succede attorno a lui (per il Permacultore la Permacultura è il suo paio di occhiali preferito da cui guardare il mondo); il “Transizionista” si apre a tutto quello che potrebbe usare come strumento concreto, Permacultura compresa, per cui usa l’occhiale che ritiene più adatto alla situazione.
Attitudini diverse, che soddisfano bisogni diversi; basta non andare nelle categorie del giusto e sbagliato e, ricordando Rumi: “al di là del giusto e dello sbagliato c’è un campo, ci incontreremo là” E “là” è dove stanno andando comunque entrambi, e non solo loro.
Noi di Permacultura & Transizione sogniamo che dopo ogni articolo, dopo ogni intervista pubblicata si avvii in Italia un piccolo processo di cambiamento o un piccola rivoluzione. Ti va di sognare con noi? Cosa avverrà dopo la pubblicazione di questa intervista?
Mi rifaccio alle ultime righe qui sopra: Rumi “al di là del giusto e dello sbagliato c’è un campo, ci incontreremo là” – “Là” è dove stanno andando comunque entrambi, e non solo loro.
- che nasca una sinergia tra tutti quelli che guardano a quel campo
- che si capisca che ognuno ha scelto la propria strada specifica perché è quella che più soddisfa i propri bisogni di crescita e le proprie attitudini personali
- che si creino momenti in cui ognuno possa ascoltare il racconto del cammino dell’altro, perché in questo troviamo la parte comune, non è il cosa facciamo ma è il come lo facciamo.
Come possiamo rendere Permacultura & Transizione sempre migliore, secondo te?
Immaginando Permacultura & Transizione come un grande Cerchio Sociocratico in cui lo Scopo comune è raccontare il cambiamento che desideriamo portare nelle nostre vite e nel mondo, ognuno con le proprie conoscenze, esperienze e qualità uniche, in equivalenza…
Immaginando la portata e la varietà di cambiamento delle proposte che potrebbero nascere da un Cerchio del genere che decidesse di lavorare insieme… Immaginando la portata di cambiamento che porterebbe per noi stessi, per la vita e per gli altri…
Ho paura! Ottimo segno 🙂 Si fa?