Maschile sostenibile: incarnare nuovi modelli di mascolinità

Lavorare sulle tematiche di genere (e in particolare sui modelli di maschile più sostenibili) si integra con tante altre strade per rendere il nostro mondo più equo e sostenibile. Ecco l'intervista ad Aua Plaza, un facilitatore che da anni accompagna gruppi di uomini nell'incarnare nuovi modelli di maschile

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Aua Plaza Maschile sostenibile
Miguel Plaza Aua. Credits: https://vimeo.com/208825976

Femminismo” è la parola dell’anno 2017 secondo il dizionario USA Merriam-Webster. Il 2017 è stato anche l’anno del #metoo: le donne coraggiose che hanno messo a nudo violenze e oppressioni sono nominate “Persona dell’anno” dal Times.

La disuguaglianza di genere, una delle tante forme di oppressione della nostra cultura, si impone sempre più alla nostra attenzione e chiede di essere affrontata su più livelli: nell’educazione senza stereotipi di genere, nell’opinione pubblica, a livello politico, nell’affrontare la violenza di genere (più o meno sottile), e nel portare alla luce modelli di maschile più sostenibili. Il lavoro sulle tematiche di genere si incastra ed integra con le tante altre strade di realizzare la visione di un mondo più equo, di cura per la Terra e le persone.

In Italia ci sono forse ancora poche occasioni per affrontare i temi relativi ai modelli di maschile. Recentemente ho avuto l’occasione di conoscere Aua Plaza, un facilitatore che ha esperienza nel facilitare gruppi di uomini in Spagna. I suoi laboratori sono un invito a condividere un viaggio, ad aprire una porta o una finestra su un lavoro che dura una vita.

Ho chiesto ad Aua di raccontarmi di più sul lavoro di genere con gruppi di uomini. Nell’intervista abbiamo usato la forma femminile plurale come plurale generico, riferendoci a “le persone”, e come forma di equilibrare il maschile generico che può risultare escludente.

1. Chi sei in due parole?

Sono un amante della vita e della natura, una persona che sta disimparando. Sono un facilitatore e negli ultimi anni ho sviluppato un lavoro sulla facilitazione di gruppi, la convivialità, l’ascolto e la comunicazione consapevoli, i modelli di maschile sostenibili e il genere. Collaboro con IIface, Ecodharma e altri gruppi soprattutto nella gestione emozionale e la trasformazione dei conflitti.

Quello che mi muove è la domanda di come integrare la cultura della facilitazione nella nostra quotidianità. Per me la facilitazione è qualcosa di vivo da condividere e portare nel mondo, una serie di cammini per l’empowerment collettivo, personale e sociale, per promuovere la consapevolezza e l’autonomia delle comunità e delle persone. Rafforzando le nostre reti, generando spazi di incontro e coltivando il potere creativo per manifestare nel mondo quello che vogliamo costruire.

2. Quando ti sei avvicinato ai laboratori sul maschile?

Il mio lavoro con gruppi di uomini comincia a Barcellona verso il 2013. Ho fatto parte e ho accompagnato vari cerchi di uomini e spazi misti transgender. Da quel momento ho integrato questo lavoro sul genere nel mio modo di intendere la facilitazione, nel lavoro di comunicazione, ascolto e intelligenza emozionale che faccio da anni e che è tanto essenziale nel cercare altre forme di mascolinità più sostenibili.

maschile-sostenibile3. Cosa ti ha mosso a fare questo tipo di laboratori?

Innanzitutto sostenere i femminismi dalla parte degli uomini. Considero un lavoro molto necessario quello di trasformare i modelli di maschile. Non credo che sia solo compito delle donne cambiare il mondo in termini di genere, è un lavoro che chiama anche gli uomini. Nel nome del patriarcato, come del fascismo o del colonialismo (tutti in stretto rapporto), si è creato moltissimo dolore. Cominciamo allora a generare altri punti di riferimento per il maschile, a prendere coscienza dei nostri privilegi, delle rigidità, delle limitazioni e della violenza della mascolinità appresa. Cerchiamo dei modelli di maschile più sostenibili che non siano limitati dalla durezza, dall’analfabetismo emozionale ed espressivo, come persone che vogliono scegliere di stare nel mondo in altro modo, cominciando il cammino per incarnare altri modelli che servano ad altri uomini e ai bambini per non riprodurre questa mascolinità che crea dolore. Questo schema appreso non è l’unico modo di essere uomini.

4. Perché è importante fare questi percorsi sul maschile e perché non sono (ancora) così diffusi?

Perché per poter generare un cambiamento sociale dal punto di vista del genere, secondo me è necessario smontare la mascolinità dominante e rendere possibili altre forme di relazione più equivalenti. Penso che non siano molto diffusi (oppure quando esistono non ci sono molti uomini che partecipano) perché presuppone un lavoro interno profondo e quotidiano, e anche se può sembrare interessante a volte ci si scontra con il limite di guardarsi in profondità, perdere privilegi, rinunciare al potere sopra altre parti.

5. Perché inviteresti una persona a partecipare a questo tipo di laboratori?

Quando scegli di cominciare, inizi un lavoro molto bello e trasformativo, che rende possibile l’emergere di parti molto autentiche delle persone che siamo, che ci permettono di ricostruire le nostre relazioni con gli altri uomini e con le donne da un luogo molto più equivalente e sano. E perché per me è bellissimo contagiarci su questo e creare una rete di uomini disposti a incarnare questo cambiamento giorno per giorno e a moltiplicarlo.

6. Questo tipo di laboratori sono pensati per gruppi non misti, o meglio, per persone che si identificano come uomini. Qual è il motivo di questa scelta?

L’invito è per persone che si identificano come uomini, possono vivere una mascolinità trans, per esempio. Mi sembra bellissimo lavorare in gruppi misti sui temi del maschile, ma solo dopo aver fatto un lavoro precedente in gruppi non misti: in caso contrario a volte osservo che gli uomini finiscono per non aprirsi fino in fondo, magari per il desiderio di mantenere una certa immagine, per la paura dell’accusa o del giudizio. Questa esperienza in gruppi non misti favorisce il potersi mostrare per quello che si è e lavorare accogliendo ciò che emerge.

7. Come hai portato e come porti tutto questo nella tua vita? Come lo metti in pratica? E nel tuo lavoro di facilitazione con i gruppi?

Oltre alla lente dell’ascolto e alla lente della facilitazione, direi che la lente del genere è per me un processo quotidiano che ha portato un prima e un dopo nella mia vita, nella mia identità, come persona e nelle mie relazioni. Per me non è qualcosa da insegnare ma qualcosa da incarnare e questo è un lavoro quotidiano. Perché ciò che genera il cambiamento è il piccolo segnale, ciò che ne faccio e ciò che vivo giorno per giorno: come comunico, come mi mostro, come accedo alle mie emozioni, come cerco di essere cosciente dell’ambiente maschilista nel quale viviamo e di influenzarlo per portare equilibrio, e come voglio costruire i rapporti con le altre. E dentro di me è un lavoro di consapevolezza, sostenere un altro modello di uomo che invita bambini e adolescenti a legittimare quelle parti di sé che a volte non esprimono, immersi come sono in icone di calciatori e uomini aggressivi.
Nel mio lavoro con i gruppi, cerco di tenerlo molto presente, sostenendo e promuovendo l’ascolto, la espressione emotiva e sottolineando gli schemi di genere che emergono per sostenere la possibilità di generarne altri che ci rispettino di più e realizzarli insieme.

8. Cosa proponi nei tuoi laboratori?

Ci incontriamo in gruppi di uomini e attraverso gli strumenti della facilitazione dei gruppi, l’ascolto, la comunicazione empatica e la gestione delle emozioni, viviamo insieme uno spazio dove lavorare sulla mascolinità e il genere.
Prendiamo coscienza di quei modelli di mascolinità appresa che ci limitano e soffocano, che creano danni in noi e nelle altre e indaghiamo come questa mascolinità si relaziona con il potere, le emozioni, l’espressione e come, dal momento in cui nasciamo, ci condiziona a costruire delle identità complici che perpetuano relazioni di oppressione tra maschile e femminile.
Diamo valore e generiamo altre forme di maschile che siano più affini a ciò che guarisce noi stessi e la relazione con le altre, arricchendo il nostro mondo senza dominarlo. Riconosciamo e integriamo la parte maschile e femminile che sono dentro ogni persona, per favorire il dialogo generativo tra esse, e lasciare andare ciò che non ci serve. Non partendo dal senso di colpa, ma dal desiderio e dal senso di co-responsabilità nel portare nel nostro ambiente queste altre forme di maschile più sostenibile. Questo spazio è anche una chiamata a diventare moltiplicatori di questo lavoro per chi se la sente.

Aua sarà in Italia, a Monza per la precisione, il 24 e 25 febbraio per un laboratorio di due giorni sul maschile sostenibile.
Qui tutte le informazioni per partecipare: https://www.facebook.com/events/1447382755383961/

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