di Silvano Ventura - direzione@viveresostenibile.net
La crisi iniziata nel 2008, che in questi dieci anni ha squassato famiglie e imprese e che così duramente ha colpito anche il nostro Paese, sembra definitivamente alle spalle. Credo sia il momento di chiedersi cosa abbiamo imparato da essa e quindi in che modo saremo più attenti e consapevoli per evitare che si ripresenti.
A giudicare dai comportamenti di acquisto e di relazione tra le persone e tra i popoli dei quali i “media” ci informano ogni giorno, mi sembra di poter affermare che non abbiamo imparato nulla! Anzi, un vero e proprio “processo di rimozione collettiva” delle analisi e delle soluzioni trovate in tempo di crisi, è in atto.
Nel 2008, il crollo del sistema basato sulla creazione di quantità immense di denaro a debito, creò una bolla finanziaria che, scoppiando, travolse le economie di tutto il mondo, contagiando e devastando il sistema sociale, le aziende e le famiglie di tutto il pianeta.
Questo, a mio parere, dovrebbe averci insegnato che non esiste il “denaro facile” e se per qualcuno esiste, è comunque a discapito di molti altri. Il benessere reale, delle persone, delle aziende e della società, è legato al lavoro, alle relazioni e alla condivisione della ricchezza (che non è certo solo quella economica), con la propria comunità e con l’intera “comunità degli umani”.
Eppure siamo pronti a rischiare e sprecare le nostre risorse di denaro, di attenzione e di “apprensione”, per far parte dell’ultima “virtualissima bolla”: quella dei bitcoin.
Se è vero e sacrosanto che nell’economia reale (quella basata sulla creazione e sul commercio di beni e servizi), non può esistere la crescita infinita e periodi di espansione si alterneranno sempre a periodi di “contrazione” economica, il mondo della finanza, esasperando questo concetto, vive di crescite esponenziali vertiginose, seguite sempre da rovinose cadute! Proprio la vicenda dei bitcoin di questi mesi, lo ha nuovamente evidenziato. Era così nel 2008, è così ora. Con buona pace di coloro che non lo hanno voluto capire e cadendo si sono fatti del male.
La crisi ambientale, tutt’altro che finita, pare sia stata relegata a discussioni da tenersi una volta all’anno, in occasione delle “COP”. Non credo che gli accordi sul clima così faticosamente raggiunti in queste conferenze annuali, in balia degli interessi elettorali dei politici dei singoli Paesi firmatari (come Trump), senza nessun coinvolgimento delle popolazioni come parte attiva dei cambiamenti richiesti, possano produrre quel processo di consapevolezza globale che sarebbe indispensabile per frenare il cambiamento climatico.
Una “sorta di oblio” sui temi dell’ambiente, colpisce tutta la società, dimenticando che un pianeta sano e in equilibrio, significa salute, cibo, reddito, istruzione, dignità, per tutti gli esseri umani che lo abitano.
Sicuramente fanno più notizia i milioni di immigrati che premono alle porte dell’Europa e porta più voti la paura diffusa che abbiamo di essi!
Dimentichiamo che quasi tutti scappano da siccità, carestia ed eventi estremi che sono conseguenze del riscaldamento globale, o dalle guerre scatenate e alimentate nel pianeta, ovunque ci siano idrocarburi da estrarre o minerali e terre rare delle quali appropriarsi.
Le guerre e le armi per combatterle, i costi per curarne i feriti, per seppellirne i morti, per accoglierne i rifugiati, così come i disastri provocati dagli eventi estremi (siccità, malattie, desertificazione, alluvioni, epidemie, emigrazioni di massa, ecc) causati dall’inquinamento e dal riscaldamento globale, andranno ancora una volta, nel computo del PIL. Questo non aumenterà il nostro benessere!
Forse ci metteranno qualche soldo in più in tasca, ma ci indicheranno subito in quale inutile oggetto o trend spenderlo, facendoci subito sentire, nuovamente, nel “bisogno” di soldi. Faremo la coda in ipermercati sempre più grandi o ci faremo arrivare i nostri acquisti realizzati sul web, direttamente a casa. Certo risparmieremo, ma avremo sempre più serrande abbassate in centri storici e periferie abbandonate e in preda al degrado e alla criminalità.
I nostri soldi, invece che vitalizzare le nostre comunità, arricchiranno sempre più ipertrofiche multinazionali, con sedi in “paradisi fiscali”, attente solo ai bilanci e agli utili da distribuire ai grandi azionisti e non certo alla dignità dei propri lavoratori e al benessere globale.
Mai come in questo 2018, sento come sia necessario adottare un nuovo modello di comportamento. Eliminiamo il superfluo, torniamo ad “essere liberi di non consumare”, non per una stravagante scelta di vita, ma per buon senso e consapevolezza. Da qualche parte, bisogna incominciare. Pensiamo prima di acquistare. Valutiamo con cura cosa ci serve veramente, condividiamo oggetti e servizi per spendere di meno e per avere nuove relazioni, che sono la vera fonte di appagamento e gioia. Non sprechiamo e doniamo ciò che non ci serve più e, se vogliamo, doniamo parte del nostro tempo in un’attività di volontariato.
Consumare meno, significa avere bisogno di meno reddito e quindi poter lavorare meno.
Riprendere il controllo del nostro tempo, ci renderà più liberi, sani, felici e disponibili. Non il denaro, ma il tempo della nostra vita, la nostra salute, i nostri affetti e le relazioni sono le risorse più preziose che abbiamo!
L’articolo originale è stato pubblicato su Vivere Sostenibile – Bologna n. 46 – Febbraio 2018