Quando per caso s’incontrano delle mamme, che non sono più contente della stessa cosa, ma sono disponibili a metterci del proprio per cambiare questa situazione, accade qualcosa.
E’ successo vicino Siracusa per cinque di loro, dopo che hanno sperimentato coi loro figli che nell’attuale sistema prescolastico non c’è spazio per la loro espressione individuale.
Sono state scolarizzate come tutti dai quattro/cinque anni. La mamma di Pascal ci confessa che tanti aspetti della sua personalità non li ha mai scoperti in quel tempo, perché doveva adattarsi.

C’è chi si ribella e viene, quindi, additato come ribelle o scansafatiche. C’è chi, come lei, si adatta per non avere rogne. Lei si è adattata, ma questo le ha tolto la possibilità di scoprire quali erano le sue qualità e quali i limiti.
Prima in due, poi in cinque hanno scelto un posto in cui stare tutte insieme coi propri figli senza delegare in toto al sistema la loro educazione.
Nessuna di loro è pedagogo e nessuna di loro è insegnante. Sapevano e sanno di avere solamente gli strumenti che possono avere le mamme e ne sono consapevoli.
Hanno un’esigenza in comune e se la sono dichiarata subito: permettere ai loro figli di frequentare altri bambini di età diverse in uno spazio all’aperto in tutte le stagioni e godere di quello che può offrire un luogo del genere, con alberi e terra. Semplicemente.
Hanno scoperto che per loro è stata un’occasione molto importante, perché la maternità è un momento bellissimo ma è anche un periodo spesso di profonda solitudine per una donna.

La possibilità di frequentare altre mamme e di concedersi un momento di socializzazione insieme ai propri figli è stato ed è per loro bello e importante.
La nostra società non è improntata al sostegno della maternità. Ti spinge, anzi, ad affidare ad altri l’accudimento del proprio figlio, per tornare il prima possibile al lavoro.
Una donna vive da madre sempre in un contesto di adulti. Un posto del genere, una casetta (così l’hanno chiamata), dove stare tutte insieme ai loro figli, diventa particolare perché permette ad adulti e bambini insieme di condividere qualcosa.
In questo spazio le mamme si autofinanziano sulla base delle loro possibilità. Partecipano, quindi, alle attività, anche donne che non si possono permettere un apporto economico, mettendo a disposizione le loro energie per le esigenze della casa attraverso dei servizi e questo in alcuni casi è diventata una piccola opportunità di lavoro per alcune di loro.
Senza accorgersene, queste donne che riconoscono i loro limiti in diversi aspetti, stanno creando un nuovo modello nell’offerta dell’istruzione, dando il loro tempo.
Se questa società non viene regolata da meccanismi diversi, che sono quelli del tempo e della solidarietà, non si esce da questo ciclo perverso per cui se non c’è denaro non parte nulla e se il denaro c’è si fanno le cose.

Davanti a noi c’è Giancarlo con un bellissimo cappello da chef. Lui è un bambino molto fisico. Gli piace sperimentare, arrampicarsi e scoprire.
Quando deve andare ad una festa chiede alla mamma di essere elegantissimo. E’ già un personaggio. Ha le mani impastate di farina adesso, perché sta preparando, all’aperto, insieme ad altri bambini delle arancine, che divoreremo a pranzo.
Doveva frequentare un asilo che non aveva spazi esterni oppure uno dove questo spazio non era fruibile. A detta delle maestre, lì erano le mamme che non volevano che i figli uscissero all’aperto, perché “si sporcavano”, perché “c’era brutto tempo” o “c’era troppo caldo”.
E’ un meccanismo che porta inevitabilmente ad una de-responsabilizzazione degli insegnanti, che possono gestire meglio i bambini nel cerchio ristretto di una stanza chiusa. Tutto questo, purtroppo, accade ogni giorno in un classico asilo, dalle 8 alle 4 del pomeriggio con banchetti e fogli da disegnare. In una scuola familiare, ci piace chiamarla così, no.
A chi giova una scolarizzazione troppo anticipata? Un bambino di 3 anni ha bisogno di giocare e di conoscere solo attraverso l’unico strumento che conosce: il gioco.
Fanno i turni le mamme di questa casetta, per fare andare avanti anche le attività lavorative che le impegnano fuori da lì. Nessuna di loro, però, è obbligata a portare tutti i giorni il proprio figlio.

Stanno sperimentando un’altra possibilità, restando il più possibile centrati sui bisogni reali, che spesso portano le persone a potersi allontanare per brevi periodi, “fosse anche solo per andare a vedere le farfalle o andare a raccogliere i capperi” ci dice una di loro. Perché no. E’ anche questa una scuola, di vita e di libertà. Possono tornare alla frequenza quando vogliono o quando possono.
C’è Daniela che tiene un laboratorio di cucina per i piccoli della casetta. Oppure Elena, che una volta a settimana organizza un laboratorio di creatività con l’argilla, la pittura e qualsiasi altra cosa che sia manipolabile.
Stanno cercando una figura professionale con qualche competenza più specifica nel campo educativo e una sensibilità maggiore che si accosti alla loro filosofia, che, in fondo, parla di normalità.
E’ la prima volta che ci capita d’incontrare una homeschooling fatta di famiglie in uno spazio condiviso. Organizzano, fuori dagli orari del mattino, spesso concerti in cui i grandi si divertono insieme ai piccoli. Questo e’ bello, perché sempre si creano momenti di divertimento solo per bambini, oppure solo per adulti, mai per entrambi a ben pensarci.

Sembrano le prime avvisaglie di un sistema diverso di scuola in questo Paese. Un sistema nuovo, più dinamico ed elastico, in cui uscirà una mamma che ormai avrà un figlio grande, per fare spazio ad un’altra con le sue stesse esigenze non ascoltate dal sistema tradizionale. Si potrà essere insegnanti per due anni anziché trenta, mettendo a disposizione i propri talenti per la collettività.
Non faranno mai grandi numeri queste mamme e non è, la loro scuola familiare, un’attività dalla quale ci vogliono guadagnare. Vogliono solo guadagnarci l’educazione dei loro figli in uno spazio che mette insieme tutti, bambini e genitori.

Le cose più importanti della nostra vita, se ci pensiamo, non sono né straordinarie, né grandiose. Sono quelle in cui ci sentiamo toccati gli uni dagli altri.
E le mamme sono le prime a capirlo.