Stiamo vivendo in tempi di grandi cambiamenti e sempre più persone stanno sentendo la necessità di abbandonare la vecchia strada ormai evidentemente fallimentare di un sistema che ci sta portando sul baratro.
Una possibile via alternativa è rappresentato dalla permacultura che si basa sull’osservazione, l’interconnessione e la progettazione.
Tra i praticanti e insegnanti di permacultura ci sono alcune persone che si sono incontrate sul “Sentiero della Permacultura” (Permaculture Path), gruppo sinergico e collaborativo, unendo le loro esperienze e professionalità, per poterle trasmettere a chi vuole aprirsi ad un apprendimento che lo porterà a riprogettare la propria vita a beneficio del Tutto.
In questo articolo vorrei presentare le persone con cui ho intrecciato anche il mio di sentiero, e che con il tempo è diventato collaborazione, passione ed amicizia.
John Button, australiano, allievo di Bill Mollison, ha oltre 35 anni di esperienza in progettazione, consulenza e insegnamento.
Francesca Simonetti, ha integrato la permacultura nella sua professione di agronoma, includendo anche gli aspetti sociali e spirituali.
Marguerite Kahrl, statunitense, è un artista che ha coniugato la permacultura con l’arte, in progetti e nell’insegnamento.
1) Dove inizia e dove ti ha portato il tuo sentiero della permacultura?
JB: Ho acquistato la mia terra (33 ettari) in Australia, volendo fuggire dalla città negli anni ’70, e ho capito che non avevo idea di cosa farmene. La permacultura era stata appena formulata e sembrava fornire esattamente le risposte di cui avevo bisogno. Sulla base di ciò ho iniziato a metterla in pratica e in seguito sono arrivate le richieste di consulenza, di progettazione e di insegnamento.
Con il passare degli anni, oltre a consulenze e corsi, sono stato via e via sempre più coinvolto in progetti internazionali. La permacultura ha determinato il mio percorso di vita.
2) Cosa può insegnare la permacultura in questa particolare epoca storica?
FS: Come agronomo, quando ho incontrato la permacultura è stato come aprire una finestra di una stanza chiusa da anni con l’aria stantia. Una boccata di aria fresca e tanta luce sono entrate portando nuove speranze e una una ventata di rinnovamento.
In questa epoca storica, in cui l’agricoltura convenzionale, ovvero l’agroindustria, si basa sul mono prodotto e la semplificazione, diversificare e creare sistemi complessi ed integrati, è a mio avviso il percorso da intraprendere.
Pur essendo più complessa la gestione di una realtà agricola caratterizzata da elevata diversità e diversificazione di prodotti e servizi offerti, così come proposto dalla permacultura, è vero altresì che, maggiore sarà la resilienza ecologica e sociale che si creerà e quindi, la capacità del sistema di sopravvivere.
In un mondo in cui il cambiamento climatico è sempre più evidente, non possiamo più ignorare quello che succede, pensando che comunque è lontano da noi. A tale riguardo, la permacultura mi ha insegnato che è possibile, anche come singoli individui, agire consapevolmente e fare delle scelte che riducono il mio impatto sull’ambiente e influiscono positivamente sul cambiamento climatico.
E’ necessario crederci e fare lo sforzo di “think out of the box” e agire attivamente, cambiando i propri stili di vita.
3) Perché consigli di partecipare ad un corso di progettazione in permacultura?
MK: È stato chiaramente dimostrato che il sistema agricolo industriale dominato dalle multinazionali che pervade le nostre vite danneggia la nostra salute e quella del nostro ambiente. Come possiamo uscire da questo paradigma e crearne uno di maggiore stabilità e resilienza? Il PDC ci offre una comprensione di come lavorare e progettare sistemi naturali complessi che hanno la capacità di auto-organizzarsi.
Questa comprensione offre nuove strategie e metodi di progettazione che possono essere applicati a molte questioni globali come l’iniquità sociale, l’infertilità del suolo, i cambiamenti climatici, le carenze di acqua e cibo.
Molte delle tecniche e strategie, condivise direttamente da designer esperti, possono essere applicate direttamente a livello personale portando ispirazione e nuova prospettiva alla propria vita e carriera.
Non è raro sentire i partecipanti dichiarare che un PDC ha cambiato radicalmente la loro vita.
4) Come sono cambiati i curricula del PDC dai primi di Bill Mollison?
JB: Sono cambiati dando necessariamente molta più enfasi sul non-fisico, meno puramente sulla terra. Questo significa la permacultura sociale e l’enfasi sulla relazione tra la cultura dell’individuo e la società e il posto ad essi associato.
Questi esistevano fin dall’inizio, ma hanno assunto un’importanza maggiore. I PDC dovrebbero essere molto più lunghi, non più brevi come spesso è ora la tendenza, per soddisfare le richieste dei partecipanti e non dominati solo da lavori pratici.
Dobbiamo imparare a gattonare prima di poter correre.
5) Quali strumenti ritieni didatticamente più validi?
FS: Partendo dal presupposto che le persone apprendono in modo differente (cinestetico, visivo, visivo non verbale, uditivo), è importante utilizzare differenti modalità d’insegnamento e diversificare il più possibile gli strumenti didattici utilizzati, al fine di coprire il più possibilmente tale diversità.
Pertanto io insegno utilizzando diversi strumenti e modalità, tra cui: quella di tipo frontale, i giochi di ruolo, gli esercizi che energizzano, creano unione e rompono il ghiaccio, materiali vari con cui creare modelli con cui raccontare l’argomento, disegni ed immagini, poster con le parole chiavi relative all’argomento presentato, slideshow, carte con immagini, tanti colori e materiali diversi, utilizzo della voce, del corpo, attività pratiche dimostrative, ecc…
L’importante è bilanciare i vari strumenti cercando di dare spazio alla creatività e, soprattutto, coinvolgere attivamente i partecipanti, dando loro molto spazio.
6) Avete avuto molte esperienze insegnando a migranti e persone in condizioni difficili. Cosa ti ha insegnato questa esperienza?
FS: Questa esperienza, mi ha insegnato molte cose, tra cui: partire con poche aspettative, poiché tutto è in cambiamento e nell’arco di una giornata, le cose cambiano continuamente. Adattamento e resilienza: i rifugiati e la categoria definita IDP (Internal Displaced People, ovvero le persone che all’interno del proprio paese sono costrette a spostarsi per sfuggire a disastri ambientali, quali tifoni, terremoti, tsunami, ecc) sono sopravvissuti a molte disavventure di cui molte rischiose e al limite.
Essere nel qui ed ora. Diminuire I pregiudizi nei confronti dei rifugiati e vederli come delle grandi risorse e non solo come un problema.
MK: La permacultura aiuta a stabilire un senso di appartenenza e di connessione con tutte le persone. Ci dà il senso di partecipare a qualcosa di più grande di noi stessi.
Costruendo comunità integrate, riparando e rigenerando terreni e stabilizzando strutture sociali, possiamo consentire e incoraggiare relazioni costruttive tra rifugiati, sfollati interni e comunità ospitanti.
L’iniziativa “Permacultura per i rifugiati” lo fa attraverso la formazione, la progettazione di progetti consultivi e partecipativi che include tutte le parti interessate, utilizzando i principi e le pratiche di progettazione della permacultura.
7) Qual’è la vostra prossima proposta e cosa apprenderanno i partecipanti?
MK: Vorremmo far risvegliare i partecipanti in una nuova storia. Non è così facile cambiare le convinzioni su come viviamo nel mondo. Cosa è importante nella vita?
Cosa è possibile?
La crisi ecologica in cui siamo origina dal trattare la terra come separata da noi stessi.
La permacultura ci offre un’alternativa alla vecchia storia del sé separato, in cui uno è spinto a massimizzare il proprio interesse personale dominando e controllando l’altro in modo culturale e naturale.
Questa storia è radicata nella nostra civiltà e nella nostra psiche. Per parafrasare Charles Eisenstein, “ogni atto che viene dal luogo dell’inter-essere interrompe la vecchia storia. La nostra vecchia storia di separazione è condannata poiché il mondo finito non ha risorse infinite. Per questo abbiamo bisogno di una nuova storia, lasciamo andare il paradigma del controllo e entriamo in un mondo più bello e connesso “.
Questa logica di separazione include una teoria del cambiamento che ci dice come avviene il cambiamento, esercitiamo una forza sulla realtà, su una massa, e più forza hai più potere hai per cambiare il mondo. Questa è una ricetta per la disperazione.
La mia proposta è scoprire, vedendo e sentendo, come possiamo creare ad ogni passo la nuova storia basata sull’inter-essere ecologico e sociale. Usando la teoria e gli strumenti pratici che apprenderemo durante il corso di progettazione in permacultura, possiamo rendere possibile questa transizione.
JB: La mia proposta è che la permacultura diventi parte integrante dell’intero sistema educativo, dal livello scolastico all’istruzione terziaria, dove credo che il PDC come introduzione alla maggior parte dei corsi cambierebbe l’intero approccio all’impegno scientifico e sociale, da uno studio specializzato e frammentario a un punto di vista integrato e integrale. Tutti ne trarrebbero beneficio.
Nel prossimo PDC mi aspetto che tutti i partecipanti cambieranno in modo significativo la loro visione del mondo e la loro percezione del ruolo che potrebbero svolgere come agenti di cambiamento positivo.
FS: La ns prossima proposta è un corso di progettazione in permacultura di 72 ore che si terrà dal 20 luglio al 1° agosto 2019 a Eden Sangha, un santuario olistico e permaculturale, in Piemonte. Vi aspettiamo!
https://www.facebook.com/events/2368093490108410/
Contatti: permaculturepath@gmail.com