A cura di Massimo Giorgini e Giovanni Santandrea
Settimo principio: progetta dal modello al dettaglio
“Mi abbandono alla convinzione fiduciosa che il mio conoscere è una piccola parte di un più ampio conoscere integrato che tiene unita l’intera biosfera.”
(Gregory Bateson)
La frase associata a questo principio è “Non vedere la foresta per via degli alberi”. Ci ricorda che la realtà dei sistemi naturali è complessa a tal punto che corriamo il rischio di perderci negli infiniti dettagli senza riuscire a comprendere le situazioni e a definire i nostri progetti.
Proprio per questo è importante avere una visione d’insieme che, attraverso il buon senso e l’intuizione, ci consenta di cogliere i modelli.
Ma ci ricorda anche che una buona progettazione parte da modelli naturali conosciuti e ben consolidati.
[G] Il tema proposto da questo settimo principio ci chiede un cambio di prospettiva rispetto agli altri 6 principi precedentemente esaminati. I primi sei principi mettevano l’accento su una progettazione a partire dal basso, dai fattori elementari, in sostanza un approccio bottom-up. I prossimi 6 principi invece ci stimolano a sviluppare una visione sistemica, di tipo top-down. Un progetto in permacultura non può essere messo a punto solo dando importanza ai singoli dettagli. E’ necessario anche studiare e considerare le relazioni e le connessioni che regolano i macro processi che sono presenti nel progetto.
E’ evidente che se devo progettare una strada, una macchina agricola o la mia fattoria questa indicazione può essere recepita e compresa facilmente. Poi è noto come nella prassi la progettazione è spesso accompagnata da un processo che parte dal modello generale e porta ai dettagli, ma si completa osservando i dettagli e tornando a rivedere il progetto nel suo insieme. Per questo il processo prende nome di ciclo di progetto. Ma ora penso sia importante ritornare a parlare di quanto questo principio interagisca in una propria progettazione a livello personale e sociale. In particolare ritengo utile che ci confrontiamo sul significato che assumono le parole “modello” e “dettagli”.
[M] Considero soffermarsi sui dettagli e sui modelli come due approcci complementari alla realtà ed alla vita. Partire dai dettagli significa analizzare in piccolo ciò che succede in una situazione ed in un determinato momento, corrisponde alla metafora della visione con una lente di ingrandimento che ci permette di analizzare a fondo una piccola porzione di spazio. Molto utile per approfondire alcuni aspetti, ma ci fa correre il rischio di perdere la visione d’insieme e la correlazione tra gli elementi. Anche perché la realtà è molto complessa e noi esseri umani, con le nostre limitate capacità di analisi, non riusciamo a conoscerla nei suoi infiniti “dettagli”.
Progettare a partire dai modelli significa invece allargare lo sguardo per cogliere gli schemi ricorrenti. La vita, pur essendo infinitamente complessa, tende a seguire nei suoi processi certi schemi che si ripetono, pur variando nei dettagli. Riconoscerli ci consente di avere dei punti di riferimento, che possiamo utilizzare quando progettiamo o prendiamo delle decisioni. Questo modo di procedere corrisponde alla visione dall’alto, come fossimo delle aquile che si alzano in volo e ampliano lo sguardo, osservando il disegno complessivo.
[G] Mi piace molto l’immagine dell’aquila che si leva in volo. Ho provato ad esplorare il significato di modello e dettagli per il primo livello, quello che riguarda l’individuo nella sua unicità. In realtà l’espressione dell’unicità della persona sappiamo quanto sia il frutto di complesse interazioni tra quelle che, in particolare la psicosintesi di Roberto Assagioli, definisce le sub-personalità. La parola ‘personalità’, nella sua radice latina, ci ricorda che identificava la maschera degli attori del teatro antico. La maschera della personalità, e ancora di più della sub-personalità, diventa la rappresentazione delle sue caratteristiche psichiche e dei suoi pattern mentali, ma è anche il veicolo di comunicazione verso il mondo esterno, una sorta di interfaccia.
Tutti sperimentiamo come nella varie situazioni in cui ci troviamo possiamo effettuare rapidi cambi di maschera per comunicare nella modalità che riteniamo più agevole. Spesso è la maschera che ci garantisce sicurezza, e ci permette di rimanere nella nostra zona di comfort.
E’ evidente che questo schema, se esasperato, indebolisce quelli che sono gli aspetti centrali e unificanti di noi stessi. Normalmente una personalità armoniosa, pur adattandosi a vari ruoli e situazioni, si riconosce per la sua capacità di comunicare un senso profondo di unità e ‘centratura’. Da queste osservazioni mi viene da dire che per una buona progettazione a livello personale, nella nostra ‘zona 00’ più intima, è prima di tutto importante diventare consapevoli di questo gioco pirandelliano delle parti che ogni giorno mettiamo in scena.
Solo da un buon processo di consapevolezza sarà poi possibile usare con leggerezza le sub-personalità quali dettagli utili a far emergere la volontà del nostro essere unitario.
[M] A questo punto sorge una domanda: come possiamo favorire questo processo di consapevolezza per far emergere “chi siamo” e “cosa vogliamo” senza farci distrarre dalle sub-personalità e dalle contingenze del momento ? Ogni esperienza che ci aiuti a fermarci e ad entrare in contatto con le nostre aspirazioni più profonde ci può aiutare a far emergere la volontà del nostro essere unitario: meditazione, contatto con la natura, silenzio, percorsi di evoluzione personale, gruppi di crescita.
Ricollegandomi alla metafora della visione dall’alto dell’aquila, ritengo molto utile un lavoro sull’autobiografia, per rivedere la propria storia nel tempo, come si è sviluppata, quali sono i temi ricorrenti. Rivedendo la nostra storia possiamo notare cosa stiamo cercando profondamente, anche se abbiamo incontrato degli ostacoli che in certi momenti ci hanno distolto dal “progetto” che rende la nostra vita degna di essere vissuta.
A proposito di modello di vita, vorrei citare l’Ikigai, che tu conosci bene, come mappa di riferimento che ci può aiutare a definire il nostro progetto di vita. La parola giapponese “Ikigai” racchiude il concetto prezioso dell’essenza stessa della vita, la ragione dell’esistenza di ognuno di noi. In sostanza ciò che ci fa saltare fuori dal letto con un balzo ogni mattina. Trovare il nostro Ikigai significa riconoscere ciò che amiamo e che ci piace, ciò che sappiamo fare ed i nostri talenti particolari, ciò che possiamo fare per gli altri e per il mondo, ciò per cui possiamo essere retribuiti economicamente. Avere chiaro qual è il proprio Ikigai in un certo momento significa avere una “bussola” che ci orienta nelle scelte di ogni giorno verso una vita felice e piena di senso.
[G] Mi sembra di capire quindi che ritieni utile ogni tipo di rivisitazione del nostro percorso di vita per individuare come si sono evoluti e modificati nel tempo i nostri comportamenti e gli schemi di pensiero che normalmente acquisiamo in ambito famigliare e in generale nella cultura in cui siamo cresciuti.
Mi sembra un’operazione molto profonda. Se affrontata con uno spirito di autenticità credo che possa portare alla nostra vita una grande spinta evolutiva.
Mi piacerebbe portare ora il discorso verso la progettazione sociale. Quali analogie e differenze possiamo immaginare? Come possiamo impostare una progettazione sociale che sia rispettosa non solo dei bisogni dei singoli, ma dia spazio ad una valutazione dei processi interpersonali e sociali ?
[M] Anche in un gruppo, in una organizzazione o in una comunità sociale è importante definire una visione d’insieme. Trovare cioè una visione e un progetto complessivo che riesca a soddisfare al meglio i bisogni individuali senza sacrificare la sostenibilità nel tempo ed il bene comune. Molto difficile farlo in questa epoca sbilanciata sull’individualismo ma molto importante per fare le scelte migliori e per sviluppare un senso di appartenenza al gruppo o alla comunità. L’esperienza mi ha insegnato che, se si dedica tempo ed energia a definire questa visione comune, ci sono dei grandi benefici in termini di energia e di senso di partecipazione.
Come fare a mettere insieme i bisogni individuali e quelli sociali ? Non è semplice. Si tratta di favorire un processo che attivi l’intelligenza collettiva presente e che faccia sentire tutti felicemente responsabili per un qualcosa di più ampio che trascende l’individuo. Se il processo è chiaro, trasparente, partecipato, autentico le persone sono ben contente di cedere qualche privilegio personale per favorire il bene comune.
Nella progettazione, inoltre, in questo momento storico dovremmo tenere presente anche della “Big picture”, delle esigenze dell’umanità e del Pianeta nel suo complesso. Che ne pensi ?
[G] Come potrei non essere d’accordo con quanto dici. Quello che tu hai detto sui bisogni individuali e i bisogni sociali mi suggerisce vari pensieri. Le grandi minacce che l’umanità ha l’urgenza di affrontare, penso al tema dei cambiamenti climatici e della transizione energetica, sono di una tale gravità che non possono essere affrontate solo in un’ottica individuale. La consapevolezza e un cambio di stile di vita individuale è importante, ma non è sufficiente. Può, e deve, essere un segnale di un cambiamento più vasto, progettato e realizzato dalle grandi comunità sociali. Purtroppo dobbiamo constatare quanto ancora forte prevalga il perseguimento dell’interesse individuale o di piccoli gruppi, che trae il proprio vantaggio economico a scapito dell’equilibrio ambientale.
Per contrastare questi processi, che si riversano maggiormente sulle popolazioni più povere e indifese, è importante sostenere tutti quei processi che sono volti ad acquisire una visione sistemica d’insieme che può illuminare la progettazione di vere strategie di sostenibilità economica, sociale e ambientale.
Ma come essere umani non siamo solo frenati dall’impulso ad ottenere solo il nostro tornaconto economico e materiale. L’altro grande ostacolo che manifestiamo, e che ostacola un grande salto evolutivo delle comunità umane, è la gestione e il controllo dell’ego. Troppo spesso chi assume un ruolo di leadership e di responsabilità soffre di un’ipertrofia egoica.
Il bisogno di primeggiare, di sfruttare in modo eccessivo il proprio rango, di perseguire un desiderio di potere individuale rappresentano reali ostacoli che sono sempre più osservabili, e sono proprio i fattori che limitano la possibilità di sviluppare quei processi legati all’intelligenza collettiva di cui prima parlavi.
Per concludere questo dialogo sul settimo principio della permacultura mi piace ricordare il pensiero di Fritjof Capra, nel suo libro “La rete della Vita”, ci ricorda come la vita e la socialità dei sistemi viventi siano connotate dalla complessità. E in questa rete ogni singolo essere è in rapporto di interdipendenza con i suoi simili e con l’intero sistema. Ritengo sia la migliore argomentazione a favore della progettazione che parte dalle considerazioni sistemiche.
L’articolo originale è stato pubblicato su Vivere Sostenibile – n. 54 Novembre, 2018