Dialoghi sui principi della Permacultura in ambito sociale e personale
A cura di Massimo Giorgini e Giovanni Santandrea
Chi conosce tutte le risposte, non si è fatto tutte le domande.
Confucio
Il dodicesimo e ultimo principio della permacultura è anche associato alla frase “La visione non è vedere le cose per quello che sono, ma per quello che saranno”. Contiene in sé due aspetti complementari e circolare. Da un lato il cambiamento è visto come il frutto di un processo di progettazione deliberato ed attivo, d’altra parte il principio ci ricorda che il cambiamento del sistema su vasta scala va ben oltre la possibilità del nostro controllo e della nostra influenza, quindi è necessario un adattamento creativo.
[G] Sembra ieri che abbiamo cominciato questa avventura, e invece siamo già arrivati al dodicesimo e ultimo principio. Come indica la premessa il principio è particolarmente complesso perché per essere compreso pienamente richiede al nostro pensiero di stare in equilibrio tra due opposti. La nostra mente di fronte alle polarizzazioni è naturalmente portata a scegliere una delle alternative e rigettare energicamente l’altra. Vedo una forte connessione con quanto abbiamo esaminato nell’undicesimo principio relativo all’utilizzo delle zone marginali e di confine. In questo ultimo principio in qualche modo si va oltre.
Questo principio ci richiama a superare la naturale tendenza alla polarizzazione, che emerge ogni qualvolta siamo fuori dalla zona di comfort alla ricerca di una armonizzazione di aspetti oppositivi.
Possiamo dedurre che nel dodicesimo principio si affermi che la progettazione in permacultura è importantissima, è necessaria, e per farla bene è necessario tenere in considerazione tutti i primi 11 principi.
In questo modo si possono progettare e realizzare sistemi stabili e in equilibrio che manifestano una volontà attiva e propositiva.
Al contempo la nostra progettualità non ci deve impedire di ascoltare messaggi profondi che arrivano a noi dal mondo esterno.
In pratica se la progettazione parte dalla necessità di dare una direzione e un verso al proprio agire in relazione all’ambiente (naturale o sociale), contemporaneamente siamo chiamati ad essere disponibili ad abbandonare tutti i progetti e gli schemi pregressi per aprirci alla creatività e all’incertezza al fine di impostare un processo di adattamento ai segnali i provenienti dall’ambiente esterno. Progettualità e adattamento: sono forze tra loro antagoniste che devono trovare un punto di dialogo.
[M] Che bel viaggio e quante scoperte abbiamo fatto insieme per arrivare a questo dodicesimo principio. Mi sembra che David Holmgren abbia fatto un’ottima scelta a porre questo principio al termine della serie per ricordarci che la vita è cambiamento continuo e noi abbiamo bisogno di un adattamento creativo continuo per rimanere in sintonia con il flusso della vita. Il primo (Osserva ed interagisci) e quest’ultimo sono due pilastri che fanno da cornice a tutti gli altri e ci ricordano gli aspetti essenziali della vita: osservare, interagire, adattarci creativamente.
Le teorie sistemiche sulla vita e sugli essere viventi di Bateson (“Mente e Natura”) e di Maturana e Varela (“L’Albero della Conoscenza”) ci confermano che la vita è cambiamento: un intreccio complesso e dinamico tra sistemi “intelligenti” che produce continuamente situazioni nuove ed imprevedibili. Tra i sistemi “intelligenti” Bateson include, oltre agli esseri umani, anche gli altri esseri viventi, gli ecosistemi, il pianeta nel suo complesso.
La trama della vita è estremamente creativa e richiede anche a noi che ne siamo parte integrante un costante adattamento creativo. In altre parole per vivere ed evolvere dobbiamo essere pronti ad apprendere in ogni situazione: ciò significa essere disposti ad osservare ciò che avviene, a cambiare le nostre idee, a modificare la nostra mappa interiore, ed infine a cambiare i nostri comportamenti.
Caro Giovanni, a questo punto mi sorge spontanea una domanda: come possiamo sviluppare come persone questa attitudine all’adattamento creativo?
[G] Mi piace l’immagine della vita come intreccio creativo di sistemi intelligenti.
Nella Gestalt l’adattamento creativo viene definito quale risultato della spontanea forza di sopravvivenza che consente all’individuo di differenziarsi dal contesto sociale, ma anche di esserne pienamente e significativamente parte. Quindi ogni comportamento umano, anche quello patologico, è considerato un adattamento creativo.
Questo tipo di adattamento creativo, è del tutto naturale, e trova le sue prime radici nell’istinto di sopravvivenza della persona di fronte alle difficoltà e i pericoli esterni.
Ma nel processo evolutivo, l’essere umano che è stato capace di differenziarsi e proteggersi dalle minacce del mondo esterno, può iniziare un cammino di riconnessone e di consapevolezza profonda alla scoperta degli infiniti legami che ci connettono alla vita, a tutte le forme di vita. E’ un’esperienza di trasformazione, che arricchisce di significato ogni momento dell’esistenza. In quello stato la creatività raggiunge il massimo grado di espressione e libertà.
Non è limitata ad una comprensione mentale. Ogni persona, con i suoi tempi, può approfondire questa dimensione, fino a farne un’esperienza significativa e rigenerativa della propria coscienza. Questo stato di riconnessone supera l’idea di separazione del nostro io dalla rete della vita. Le istanze attive e progettuali della propria volontà personale si vanno ad unificare, senza contrapposizione, alla ricettività che ci permette di accogliere le intuizioni provenienti dalla realtà esterna più ampia. In quello stato possiamo sperimentare la flow esperience… l’esperienza di essere immersi completamente nel flusso della nostra esperienza.
Quale parallelo possiamo fare pensando alle dinamiche dei gruppi e delle comunità?
[M] Per i gruppi, come per i singoli individui, credo che sia importante sviluppare la cultura della vita come “scuola”, come esperienza che ci permette continuamente di imparare. Possiamo prendere esempio da Socrate che, pur essendo una delle persone più sapienti del suo tempo, affermava “So di non sapere”, consapevole degli infiniti risvolti della vita e del fatto che non si finisce mai di imparare.
I gruppi e le comunità sono dei sistemi complessi che nascono dall’interazione di sistemi complessi (le persone) e che interagiscono all’interno di contesti complessi (città, stati, ecosistemi). Le interazioni che avvengono in questa complessità sono talmente tante che non ci è possibile prevedere tutto quello che succederà nel tempo: per questo è fondamentale mantenere una attitudine al cambiamento ed alla creatività. Ma quali strumenti utilizzare per mettere in pratica questa attitudine?
Uno degli strumenti più importanti consiste nella raccolta dei feedback come ci ricorda il quarto principio (Applica l’autoregolazione ed accetta i feedback). Nei gruppi abbiamo la possibilità di raccogliere tantissime informazioni semplicemente ascoltando i diversi punti di vista delle persone coinvolte; informazioni che ci possono aiutare a comprendere se è il caso di cambiare direzione.
[G] Concordo sull’importanza del ruolo del feedback. Si potrebbe dire che la capacità di scambio di feedback rappresenta un efficace indicatore di salute di un gruppo. Più hanno spazio e rilevanza i feedback all’interno del gruppo, più il gruppo potrà essere capace di realizzare gli obiettivi che ha individuato e definito.
E come già ricordavi Massimo, il feedback non è riferito solo alla comunicazione interna tra i membri del gruppo. Un gruppo, una comunità sociale, può ricevere importantissime informazioni anche dai feedback che il mondo esterno in vari modi indirizza al gruppo stesso.
Questo ascolto attento al mondo esterno è un processo complesso, che richiede saggezza e discernimento. L’attenzione a quello che “dicono gli altri”, non deve rispondere al bisogno di di confermarsi ad un modello di riferimento, sociale o politico. Non deve essere confusa con la ricerca di consenso fine a sé stessa.
Tra i tanti messaggi, pareri e comunicazioni ricevuti, il gruppo può ascoltarli per interrogarsi e mettersi in discussione, per apprendere e accogliere dentro la propria visione e progettualità voci che rappresentano altri punti di vista, non presenti tra quelle dei membri interni al gruppo.
I messaggi dall’esterno possono essere piacevoli e di conferma, oppure negativi e difficili da accettare. Il gruppo può interrogarsi sinceramente e in modo autentico su ogni tipo di messaggio, senza fare distinzioni.
In particolar modo i gruppi consolidati, che hanno una lunga storia e una propria tradizione, in questo modo possono evitare i rischi di autoreferenzialità e fossilizzazione, che sono indicatori di invecchiamento e perdita di efficacia.
La vision di un gruppo è normale che abbia un senso e un valore per un ampio arco temporale. Invece gli schemi di comportamento e le strategie in uso nel gruppo, traggono beneficio da un processo di ridefinizione permanente. La creatività non è un’energia da esprimere solo nella fase iniziale della vita del gruppo, può accompagnarlo in tutta la sua vita ed evoluzione.
[M] In questo periodo storico abbiamo proprio bisogno di tanta creatività per non rimanere invischiati negli stili di vita che stanno mettendo a repentaglio la nostra stessa sopravvivenza come specie umana. E mi chiedo: che cosa ci sta impedendo di utilizzare appieno la nostra creatività? E cosa ci permetterebbe invece di utilizzarla appieno?
Tra i tanti fattori che possono aiutarci a creare un futuro migliore ce n’è uno che ritengo particolarmente importante: riconoscere la nostra vulnerabilità come specie, come società, come individui. Ho la netta sensazione che attualmente prevalga un senso di invulnerabilità, di potere inattaccabile alimentato dalle scoperte della scienza, dalle applicazioni tecnologiche, dall’enorme energia fossile (petrolio e gas) che abbiamo a disposizione.
Brenè Brown, autrice del libro “La forza della fragilità”, sostiene che “La vulnerabilità è la culla dell’innovazione, della creatività e del cambiamento” e credo che ciascuno di noi possa trovare giovamento dal contatto con la propria vulnerabilità. È un processo liberatorio che ci consente di essere più autentici e di rimanere in connessione profonda con il flusso della vita e con le sue continue richieste di cambiamento.
L’articolo originale è stato pubblicato su Vivere Sostenibile – n. 59 Maggio 2019