Acahual è un fiore comune in Messico, è il cosiddetto girasole selvatico, che colora di un giallo vivo i campi messicani durante la stagione piovosa. Dai fiori di acahual le nostre amiche api europee e le loro piccole cugine americane (in Messico chiamate meliponas, Melipona beecheii) ricavano un meraviglioso miele che ricorda l’aspetto e il sapore del miele di tarassaco.
Come simbolo del nostro progetto abbiamo scelto questo fiore sfoltendolo di qualche petalo abbiamo lasciato i 7 petali fondamentali della permacutura e il suo cuore etico.
La parola “acahual” è anche utilizzata dai contadini messicani per definire quei terreni un tempo coltivati e ora abbandonati che si stanno rigenerando e procedono verso la ricostituzione del bosco originale. Questi terreni presentano una grande fioritura di acahual, per lo stesso motivo vengono chiamati acahuales.
Acahuales, i terreni che presentano una grande fioritura di acahual
Gli acahuales sono boschi giovani, dalla canopea aperta, dove filtrano nei diversi strati differenti livelli di luce, permettendo la vita di erbe, arbusti e piccoli alberi. Possiedono una struttura molto simile a quella che pretendono di ricreare i sistemi agroforestali delle food forest, qui in Messico meglio conosciute come boschi commestibili.
Tutto ciò lo apprendemmo circa quattro anni fa’ in un corso sui sistemi agroforestali tenuto da Ricardo Romero in uno degli esempi più belli e esitosi di permacultura applicata in Messico: la Cooperativa “Las Cañadas-Bosque de Niebla”. Il centro di agroecologia e di permacultura applicata è situato nel municipio di Huatusco nello stato di Veracruz, all’interno di una nota zona di produzione del caffè che discende dal capoluogo dello stato, Xalapa, fino alla città di Cordoba.
La cooperativa è formata da una quarantina di persone che vivono nel luogo, in una sorta di ecovillaggio disperso, con case ecologiche. Coltivano e allevano il loro cibo con varie tecniche rigenerative, dall’orto biointensivo, ai sistemi agrosilvopastorali, e fra le altre cose hanno creato anche un bellissimo esempio di bosco commestibile dalla superficie di circa un ettaro.
Questa piccola e coesa comunità, allo stesso tempo, conserva e protegge una porzione del magico “bosque de niebla”, la foresta nebulosa, caratterizzata da basse nubi e nebbia e che vanta la presenza di endemismi particolarissimi quali le felci arborescenti, un paesaggio e un’atmosfera fatata che ci riportano alle illustrazione delle foreste del carbonifero ricostruite dai geologi a partire dai fossili.
Un ecosistema unico, raro e minacciato dal disboscamento illegale, come tanti altri qui in Messico. Un bosco di transizione tra il bosco tropicale e quello montano temperato di pini e querce alle falde del Picco di Orizaba la montagna più alta del Messico. Questa esperienza fu importantissima per la nostra formazione e la nostra decisione di lavorare in un altro luogo di transizione, un’altro margine, quello urbano dell’immensa metropoli di Città del Messico.

Achahual e la permacultura
Da qui nasce il progetto pilota ACAHUAL, un bosco aperto, un acahual per l’appunto, uno spazio aperto di rigenerazione agricola, urbana e comunitaria situato nel margine dell’immensa conurbazione di Città del Messico, che i locali chiamano “el monstruo”. Un fenomeno urbano dentro e intorno al quale gravitano all’incirca 23 milioni di anime e che ingloba vari siti patrimonio UNESCO e luoghi pieni di storia e cultura, ma schiacciati e violentati da grandi interessi economici e corporativi. Qui nella valle di Anahuac si battono tutti i record del gigantismo, la macchia urbana ha una superficie di 7954 km quadrati seconda solo al mondo ad un’altra immensa conurbazione quella transnazionale di Tijuana-San Diego al confine tra Stati Uniti e Messico.

Il centro operativo di ACAHUAL si trova nel margine nord della conurbazione in uno dei municipi periferici dello Stato del Messico (l’entità federale prossima a Città del Messico), un municipio in rapida crescita che solo nel 2000 contava 38000 abitanti e ora ne conta 100000, ma i dati sono fermi a 10 anni fa probabilmente la popolazione è ulteriormente raddoppiata negli ultimi 10 anni. Il paesaggio di questi luoghi è ovunque pervaso dalla costante presenza di nuovi quartieri che fagocitano il tessuto rurale dei bellissimi campi di mais (la famosa milpa una coltivazione stagionale di mais consociata con zucche, fagioli ed erbe silvestri commestibili, chiamate quelites, e in alcuni casi anche funghi come il delizioso huitlacoche) e il messicanissimo paesaggio del matorral xérofilo, costituito da cactacee e arbusti resistenti alla lunga stagione secca invernale e primaverile, colmo di endemismi, piante azoto-fissatrici e piante utilissime all’uomo come il fico d’india e il mezquite.
Lo Stato del Messico è una delle zone più violente e conflittuali di tutta l’America Latina dove lo sviluppo economico non è stato accompagnato da un coerente sviluppo sociale e da una necessaria coscienza ambientale. Un luogo dove le politiche locali hanno creduto ciecamente nella crescita smisurata e incontrollata come unica possibile via di sviluppo. Il paesaggio può improvvisamente diventare anonimo e ripetitivo per la presenza dei nuovi quartieri (qui chiamati “fraccionamientos”), quartieri di case tutte uguali, due o tre tipologie che si ripetono come un disco rotto sul paesaggio, pianificati dalle voraci imprese costruttici finanziate dal programma di vivienda social (casa sociale) più grande di tutta l’America Latina.

Poi grandissimi “parchi” industriali, immensi magazzini e centri commerciali dalle dimensioni titaniche, con i soliti Walmart, McDonalds, Little Ceasar etc il tutto a discapito di ciò che rimaneva alle soglie del 2000 degli ecosistemi naturali e degli antichi tessuti produttivi e sociali di lunga durata generati dalle più antiche e consolidate comunità locali dove la forte compagine indigena non è mai assente.
I fraccionamientos rappresentano per la classe medio-bassa messicana l’incarnazione del sogno americano della casa unifamiliare in un quartiere di nuova formazione, il famoso sobborgo, trapiantato in Messico in una versione ridottissima rispetto a quella dei cugini più fortunati del nord, e spesso impoverita non solo materialmente ma anche progettualmente. Materiali scadenti, difetti di costruzione, spazi verdi cementificati, tipologie abitative con stanze tanto minime da far impallidire il concetto di existenzminimum dei funzionalisti tedeschi della Bahuaus e sovraffollate da famiglie numerosissime.
La decisione di lavorare in un contesto così difficile nacque proprio dalla considerazione che nessuno fa permacultura e rigenerazione in questi luoghi, quasi nessuno ha mai sentito la parola stessa e non ha la minima idea di cosa possa rappresentare, pur stando a una cinquantina di chilometri dal centro di Città del Messico, che vanta la presenza di numerosissimi progetti di agricoltura e permacultura urbana.
Qui nessuno vede le potenzialità nel margine e ancora meno vede le potenzialità di una popolazione marginale che vive con ore di pendolarismo sulle spalle per poter lavorare nel più fortunato distretto federale di Città del Messico.
Malgrado la pressione demografica e la crescita incontrollata dell’urbanizzazione in quest’area si può notare la sopravvivenza di un tessuto rurale ancora vivo. Allo stesso tempo si nota la presenza di molti spazi residuali fra i fraccionamientos. Questi spazi abbandonati rappresentano un potenziale di trasformazione ecologica molto alto che permetterebbe di migliorare la qualità della vita nonché l’alimentazione di molti abitanti di questi quartiere dalle condizioni economiche precarie.
Il recupero della produttività di questi suoli potrebbe compensare in parte la perdita di spazi naturali e dare una risposta al consumo delle risorse locali quali acqua e suolo in primis, apportando attraverso la riforestazione urbana un piccolo freno al cambiamento climatico e migliorando al tempo stesso la biodiversità urbana e peri-urbana. Si può immaginare questa zona come una “buffer zone” tra la macchia urbana e la campagna, con la funzione di ibridare la città introducendo in essa orti biointensivi, orti urbani e comunitari, rain gardens, e giardini di impollinazione, boschi commestibili e tutti quelli elementi di diversificazione eco-sistemica che possano migliorare l’ambiente periurbano.

Il progetto è totalmente ispirato all’undicesimo dei principi di design della permacultura definiti da David Homgren: “Usa i bordi e valorizza il marginale”. È evidente la vulnerabilità di queste aree nelle dinamiche urbane di gentrificazione e espulsione di categorie sociali marginali, però proprio per stare nel margine si manifestano molteplici vantaggi quali: la presenza di un tessuto rurale antico con una tradizione contadina ancora in parte viva, la presenza di una popolazione inattiva composta da giovani e da donne provenienti da varie realtà del territorio nazionale spesso da comunità indigene e rurali potenzialmente interessate a sviluppare un’economia familiare alternativa, la presenza a pochi chilometri di ecosistemi naturali ancora intatti.
Acahual è un progetto molto giovane
Per noi è come un bimbo che ha bisogno di tante attenzioni e cure però possiamo ritenerci soddisfatti dei passi avanti fatti. Abbiamo creato il nostro primo Centro Multidisciplinare dove offriamo corsi formativi per tutte le età sull’ecoalfabetizzazione, il multiculturalismo, la cucina salutare, l’ecologia applicata, la permacultura etc. Abbiamo avviato un progetto di vicinato con il nome di “Recicla y Siembra”, facciamo riciclaggio con l’obiettivo di ridurre il flusso di rifiuti indifferenziati che vanno a finire in discarica e mediante il quale racimoliamo fondi per impiantare i rain gardens, boschi commestibili e giardini di impollinazione per colibrì, api e altri insetti negli spazi verdi della città proprio a partire dal nostro quartiere.
Abbiamo creato i primi due piccoli orti biologici in due case del quartiere stesso, ora dove un tempo c’erano solo prati di gramigna, raccogliamo: fagioli, zucchine, lattughe, bietole, broccoli, cavoli, piante aromatiche, etc…
Produciamo il nostro compost e vermicompost e promuoviamo la loro diffusione nei giardini delle varie famiglie del vicinato, riproduciamo microorganismi del bosco e biofertilizzanti naturali per nutrire e migliorare i suoli. Abbiamo stretto alleanze con i due mercatini biologici più vicini.
Stiamo promuovendo l’utilizzo di metodi di facilitazione e di presa di decisione e riduzione del conflitto per implementare strumenti democratici nella nostra comunità. Grazie a questo lavoro la rete di collaborazione si infittisce e le cose si fanno via via più leggere. Stiamo promuovendo il recupero delle lingue indigene e della cultura culinaria locale, abbiamo in programma progetti di riforestazione in comunità indigene prossime al nostro centro operativo e stiamo collaborando nel migliorare l’ecologia urbana e il confort micro-climatico di vari municipi del circondario.
La nostra idea è che in realtà tra il vecchio è il nuovo continente non ci sia mai stato un vero incontro di culture, ma uno scontro e una sistematica eliminazione della millenaria cultura americana radicata alla terra, il devastante paesaggio che ci circonda è l’ultimo aspetto di un colonialismo vorace che non ha mai cessato di esistere e che per la compagine indigena, messicana nello specifico, significa soffrire razzismo e violenza psicologica per una supposta ma inesistente superiorità dei discenti europei che amministrano latino america.
La nostra componente mediterranea di origine contadina vuole rappresentare una nuova opportunità di incontro tra la realtà umile mediterranea erede dei paesaggi di lunga durata medievali con le umili realtà mesoamericane ancora radicate alla terra, solo in questo incontro tra umili e simili, a partire dalla base, a partire dalla terra, a partire dall’humus e e dall’umanità può nascere un nuovo modo di abitare questi luoghi… ci proponiamo dunque come ponti di reciproca comprensione tra le due immense eredità culturali e vorremo in andate e ritorno creare i presupposti per una nuova rigenerazione delle comunità.
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