Dialoghi sui principi della Permacultura in ambito sociale e personale
A cura di Massimo Giorgini e Giovanni Santandrea
“Mi piacciono le linee di confine, dove i prati diventano boschi, dove la parola diventa un tocco, dove la preghiera diventa ascolto.”
Fabrizio Caramagna
Se siamo progettisti di un terreno agricolo o di un territorio, possiamo utilizzare la raccomandazione di questo penultimo principio della permacultura per ricordarci di dare valore alle aree dei bordi, quelle aree marginali che apparentemente non hanno uno scopo ben preciso. In genere queste zone se vengono rispettate contribuiscono in modo considerevole ad aumentare la stabilità e la produttività del sistema biologico.
In sostanza un progetto può essere potenziato dal tipo di considerazione con cui vengono trattate le zone di confine. Il termine marginale in genere è visto come qualificazione negativa. Invece le zone marginali possono rivelarsi fonte di arricchimento del sistema complessivo. In genere questo principio viene accompagnato dal detto “non pensare di essere sulla giusta traccia solo perché è un sentiero molto battuto”.
[M] Mi fa particolarmente piacere soffermarmi su questo principio che sento molto radicato in me per le esperienze che ho avuto l’opportunità di vivere. Fin da giovanissimo ho avuto la spinta interiore ad esplorare temi ed esperienze ai confini e ai margini della nostra cultura.
A posteriori posso affermare che è stata un’ottima scelta: mi ha permesso di non appiattirmi negli esempi di vita che mi circondavano e di costruire uno modo di vivere che mi soddisfa, mi rende felice e mi permette di continuare la mia crescita. Venivo da una famiglia semplice che dava tanta importanza al lavoro ed agli aspetti materiali dell’esistenza, trascurando di curare le relazioni e gli aspetti emotivi, come facevano la maggior parte delle persone in Romagna negli anni ‘70. L’insoddisfazione per questo tipo di vita mi ha spinto verso i confini di questo “mondo” ed ho scoperto l’esistenza di tanto altro: mi sono immerso nelle letture di Fritjof Capra, di Deepak Chopra e di Wayne Dyer, ho sperimentato la meditazione, ho praticato l’antiginnastica, ho frequentato corsi di crescita personale, comunicazione e P.N.L. (Programmazione Neuro Linguistica). Tutte esperienze che mi hanno cambiato e dato speranza; mi hanno fatto comprendere quanti altri territori inesplorati avessi ancora a disposizione per dare un significato più profondo alla mia vita.
E tu Giovanni che rapporto hai con i confini ed i margini?
[G] Non è un caso che abbiamo attivato collaborazioni su vari progetti. Ci sono molte analogie nelle nostre storie personali. Anche la mia bussola interiore mi ha orientato molto presto verso situazioni di confine. Mi ha sempre affascinato il non comune, l’esperienza non scontata. La molla è sempre stata quella di andare ‘ostinatamente’ alla ricerca di qualcosa di autentico che andasse a soddisfare bisogni profondi ed insistenti. E certamente facevo fatica a comprendermi completamente, quindi come guida avevo solo l’intuizione e poco più.
Nel tempo ho conosciuto ‘compagni di viaggio speciali’, alcuni in carne ed ossa, altri contattati solo attraverso le letture dei loro scritti. Sarei una persona diversa se non avessi letto Gandhi, Ernesto Balducci, Roberto Assagioli, Krishnamurti, Stan Grof e tanti altri.
Ma è stato un percorso di formazione che tra la fine degli anni ‘70 e gli anni ‘80 mi ha portato a visitare la Comunità nonviolenta dell’Arca ispirate dal filosofo Lanza del Vasto, il progetto del villaggio di Ontignano promosso da Giannozzo Pucci, la comunità di Findhorn che ha costituito un modello di riferimento indiscusso per i moderni ecovillaggi, e per ultimo il progetto sociale delle Città di Transizione. Tutte esperienza che mi hanno segnato profondamente.
Frequentare queste zone di margine ha avuto anche risvolti difficili. Collocarsi ai margini e ai confini ti fa sentire un po’ originale e strano, facilmente emarginato dalla cultura e dai gruppi maggioritari. Posso però dire che nel complesso questo essere fuori dalle convenzioni del mainstreaming non mi hai pesato troppo.
Le vere difficoltà le ho incontrate dentro di me. Per poter attivare progetti, ed essere efficace in una zona di confine devi necessariamente avere un’ottima padronanza di te stesso, sia in termini di strutturazione interiore, sia per quanto riguarda le competenze e le conoscenze, molto più marcate rispetto a ciò che è richiesto a chi preferisce rimanere nella zona di comfort. E nella mia storia personale questo ha fatto sì che solo con un notevole ritardo, rispetto alle intuizioni giovanili, sia stato in grado di essere propositivo e costruttivo.
Per riassumere direi che i soggetti e le entità collocate ai margini e ai confini per poter avere l’importanza che giustamente vengono attribuite loro da questo undicesimo principio, devono avere una struttura particolare e una forte capacità di gestire la complessità e le diversità. Che ne pensi? Quali sono gli elementi di crescita personale e di formazione che ritieni più utili per chi è portato a vivere nelle zone marginali?
[M] Belle domande Giovanni. Potremmo definire la persone che sono portate a vivere ai margini ed a superare i confini del conosciuto come innovatori e ricercatori, persone che svolgono un ruolo importante nei gruppi e nella società: si spingono avanti, sperimentano nuove metodologie e nuove soluzioni, sono costantemente alla ricerca di novità. Gli innovatori ed i ricercatori sono utili soprattutto nei momenti di crisi, nei momenti in cui appare un ostacolo difficile da superare nelle modalità già note, nei momenti in cui c’è bisogno di un apporto consistente di creatività, di inventiva e di sperimentazione.
Concordo con il fatto che debbano avere una forte capacità di gestire la complessità e la diversità; che sappiano integrarla in un insieme armonico, come suggerisce l’ottavo principio (Integra invece che separare). In caso contrario il rischio è quello della dispersione su mille rivoli e della mancanza di continuità tra ciò che si trova al di qua e al di là del margine.
Inoltre è importante facciano attenzione a non portare ad un livello eccessivo la ricerca di superare continuamente il confine alla ricerca di novità. Ogni sistema, sia esso una persona, un gruppo o una comunità, ha bisogno di alternare momenti di innovazione a momenti di equilibrio e consolidamento. Se la ricerca del nuovo diventa l’unico modus operandi, nel medio e lungo termine può risultare destabilizzante.
In altre parole anche gli innovatori hanno bisogno di imparare a fermarsi, a riflettere su ciò che hanno imparato, a consolidare gli apprendimenti: hanno bisogno di imparare a vivere le qualità dell’autunno e dell’inverno, stagioni fatte per fermarsi e per prepararsi alle nuove fioriture e crescite della primavera e dell’estate.
[G] Ora mi piacerebbe riportare il nostro dialogo ad esaminare i processi che coinvolgono i gruppi e le comunità sociali. Come abbiamo già constatato ci sono moltissime analogie con quanto avviene nella dimensione personale. Un gruppo, un’associazione che ha una determinata visione e obiettivi, in fase di progettazione delle attività è in grado di aprirsi agli altri soggetti presenti sul territorio? Può capitare di escludere a priori alcuni soggetti solo perché la loro vision, pur non in contrasto, non coincide perfettamente con la propria.
Solo negli ultimi decenni si è invertito un processo che vedeva una marcata tendenza alla progettazione solitaria, dove le collaborazioni erano considerate più una minaccia che un’opportunità. Negli ultimi tempi è cresciuta una cultura di progettazione di rete.
E’ indiscutibile che la costruzione di rapporti di collaborazione fra associazioni/gruppi non sia semplice. L’identità del singolo gruppo, la sua storia, la sua cultura interna diventano gli elementi di base della sua azione. Per contro progettare in rete, aprendo la propria organizzazione alla diversità degli altri soggetti presuppone la necessità di rimettersi continuamente in gioco, ridefinire continuamente obiettivi e metodi di lavoro. Questo può generare un notevole stress interno all’organizzazione. E’ necessario tenerne conto, e adottare strumenti per compensare tale stress.
Non dimentichiamo che la collaborazione è anche il presupposto di tanti aspetti positivi. Il territorio su cui si opera sicuramente godrà di un’azione più incisiva e completa a favore della comunità locale.
Non solo. Una progettazione di rete darà notevoli stimoli a ciascuna organizzazione/gruppo coinvolta. Ecco alcuni vantaggi: progettazione in una scala più ampia rispetto all’azione solitaria, scambio di competenze e metodologie che significano crescita e aggiornamento, creazione di alleanze e conoscenze da utilizzare anche in vista di progetti futuri. E non dimentichiamo che per poter partecipare a bandi pubblici ed europei è quasi sempre richiesta una progettazione.
Caro Massimo hai qualche idea da suggerire ai gruppi che faticano a progettare in rete?
[M] Caro Giovanni, non è facile dare dei consigli su un aspetto così complesso come questo del progettare in rete. Collaborare con altri gruppi o organizzazioni permette di avere molte opportunità in più ma anche qualche rischio. A questo proposito vorrei fare alcune considerazioni generali che si possono applicare in tanti casi concreti.
Per un’organizzazione oltrepassare i propri confini e andare alla ricerca di collaborazioni richiede di superare la paura del contatto e della stretta relazione con altri soggetti. Questa paura può essere superata identificando i vantaggi e le motivazioni che il lavoro in rete può dare. In che modo si potrebbero ampliare gli orizzonti delle nostre attività? Quali nuovi obiettivi potremmo raggiungere? Cosa potremmo imparare da questa collaborazione? Quali nuove prospettive per il futuro? Se le risposte a queste domande sono sufficientemente attraenti costituiranno una forte spinta motivazionale per superare timori e barriere emotive.
Un’altra indicazione può essere quella di cercare gruppi e organizzazioni che abbiamo obiettivi in linea con i nostri e che abbiano caratteristiche complementari. In una rete è importante che ci sia un intento unitario ma che, al tempo stesso, siano presenti tante competenze diverse che possano coprire un ampio spettro di ruoli e di funzioni. L’importante è saper integrare queste diversità in un modo armonico, come ci suggerisce l’ottavo principio (Integra invece che separare).
Dopo aver superato le eventuali barriere emotive e aver scelto i partner appropriati per lavorare in collaborazione, ricordiamo di prenderci il giusto tempo per elaborare il progetto insieme: avere la pazienza di avviare un processo che possa soddisfare tutti i bisogni in campo ed utilizzare al meglio le qualità e le competenze personali presenti nella rete. Questo tempo può essere l’investimento più importante per gli sviluppi futuri della collaborazione ed è importante utilizzarlo pienamente, con fiducia nel processo che si sta avviando, consapevoli che ogni nodo sciolto in questa fase è un nodo in meno durante l’attuazione del progetto.
In conclusione, l’invito è quello di avvicinarvi con fiducia ai margini della vostra vita personale o di gruppo, soprattutto se sentite la necessità di un cambiamento e di un salto evolutivo è proprio in questa zona di contatto con gli altri che lo potete trovare.
L’articolo originale è stato pubblicato su Vivere Sostenibile – n. 58 Aprile 2019