Terza etica. Permacultura antidoto al turbo-capitalismo?

Andrea "Maiemi" Miani traccia la storia della Terza Etica in permacultura. Dalla riduzione del consumo, all'equa condivisione passando per la redistribuzione del surplus.

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La permacultura è un sistema di progettazione basata su tre etiche.

Il fatto che abbia le sue basi delle etiche la rende un esperimento rivoluzionario ed innovativo: è difficile trovare paralleli in altri campi.

Raro sentir parlare, ad esempio, di elettronica o architettura basate su delle etiche!
In più, in permacultura le tre etiche fondamentali non sono disposte gerarchicamente: tutte e tre sono considerate della stessa importanza, in permacultura non ci si può permettere di trascurarne alcuna. Insieme formano una sorta di unica super-etica. Se si tralascia un componente, diviene qualcosa di diverso, e non ciò che dovrebbe essere il fondamento su cui basare dei progetti che possano dirsi appartenenti permaculturali.

Le prime due etiche sono abbastanza chiare: “Cura della terra” e “Cura delle persone” . Concetti piuttosto lineari, discutibili all’infinito ma comprensibili ai più.

Ma che dire della terza etica?

Andando a documentarsi sulla storia della permacultura ci si rende conto che essa è cambiata nel tempo, è mutata adattandosi all’evoluzione che la stessa permacultura ha vissuto da quando è stata ideata da Mollison e Holmgren alla fine degli anni settanta.

In principio la terza etica recitava: “Setting Limits to Population and Consumption”, ovvero porre dei limiti alla popolazione ed al consumo.

Si trattava, anche qui, di un concetto piuttosto chiaro e lineare: siccome viviamo in un sistema chiuso e dalle risorse finite, il pianeta Terra, non è possibile una crescita infinita, da cui l’esigenza di porre dei limiti sia al numero di esseri umani che lo popolano che al consumo di tali risorse.

Return of Surplus

È solo agli inizi degli anni novanta che la terza etica subisce il suo primo mutamento e cambia in “Return of Surplus”, restituire il surplus.

In quel periodo Geoff Lawton subentra a Bill Mollison come presidente del Permaculture Research Institute australiano, la “base-madre” della permacultura, ed il sospetto che potrebbe nascere è che il cambio nella definizione della terza etica rifletta questo avvicendamento.

È in ogni caso opinione comune che sia invece il frutto di una decisione condivisa fra Mollison e David Holmgren, l’altro “padre fondatore” della permacultura.

Bill Mollison all’epoca aveva già girato il mondo in lungo e in largo, insegnando il concetto di permacultura a numerosi studenti e confrontandosi con persone di ogni razza e credo, ed una possibile spiegazione del perché si sia arrivati a ridefinire questa etica è forse dovuto alla sovrapposizione che alcuni hanno voluto vedere fra la sua originaria definizione e concetti che sono fondamentalmente estranei alle prime due etiche e certamente diversi dall’intenzione di chi l’ha formulata.

Le obiezioni alla formulazione originaria sono comprensibili quando si arriva a chiedersi COME poniamo dei limiti al numero di esseri umani che popolano il pianeta. Si può intuire perché alcuni siano arrivati a vederci una potenziale validazione di ideologie che nulla hanno a che vedere con la permacultura.

La nuova formula della terza etica non pone più l’accento su problemi mondiali ma ritorna alla sfera personale e a quello che ognuno può fare: redistribuire il surplus può essere letto come rendere alla terra ciò che non ci è essenziale, ma anche come un invito a non accumulare più del lecito o a rendere alla comunità umana il surplus di ciò che si produce invece di tenerlo per sé.

Com’era da aspettarsi, anche questa seconda formulazione ha suscitato dibattiti. C’è infatti chi ha voluto leggervi un sostegno alle teorie del comunismo o del socialismo, mentre altri gruppi come i neo-hippies ci hanno visto una sostanziale comunanza di intenti con il loro pensiero (un motivo questo, alcuni sostengono, per cui tanti che propugnano questo stile di vita gravitano attorno alla permacultura).

La terza definizione di David Holmgren

Nel 2002, nel suo libro “Permaculture: Principles and pathways beyond sustainability” David Holmgren dà una terza definizione della terza etica, una specie di via di mezzo che tenta di chiarire ulteriormente il concetto: “Fair Share: Set limits and redistribute surplus“, traducibile come “Equa condivisione: stabilire dei limiti e redistribuire il surplus“.

Quei due punti sembrano voler fugare i dubbi e precisare che con equa condivisione si intende appunto stabilire dei limiti (a quello che si consuma o si prende, dalla Terra e dagli altri) e che quello che è va oltre il necessario va ridistribuito (a beneficio della Terra e degli altri). Sembra un’elegante chiusura del cerchio con le prime due etiche, Cura della Terra e Cura delle persone, come se volesse indicarci il metodo con cui si possa metterle in pratica.

Equa condivisione

Oggigiorno la terza etica è stata semplificata in uno slogan facilmente memorizzabile, come le prime due, e suscita un istintivo cenno di assenso da parte di chi basa la propria vita su certi principi. Eliminando i due punti e la successiva spiegazione che aveva dato Holmgren, si è trasformata semplicemente in “Fair share” (equa condivisione), ma ogni tanto sarebbe bene soffermarsi sul vero significato che queste due semplici parole vogliono comunicarci, senza dimenticare che si tratta di uno dei tre pilastri fondamentali su cui si fonda la permacultura.

Fair share ed equilibrio: un invito alla sostenibilità

Per me personalmente significa equilibrio: evitare gli eccessi, come quelli prodotti dalla cupidigia, dalla tendenza all’accumulo di ricchezza e l’approccio predatorio nei confronti della natura, che la nostra società convalida e trasmette culturalmente.

È un invito alla sostenibilità, a un’economia delle risorse e delle energie che assomigli più ad un circolo che a una impossibile curva che si vorrebbe sempre in salita, e a ritornare ad uno stile di vita più semplice e bilanciato, in cui le cose veramente importanti riprendano il posto che gli compete.

Ci fa sentire parte di un tutto unico, pari fra simili e non figli prediletti, e ci fa rendere conto che quando rendiamo alla Terra o alla comunità umana in fondo stiamo facendo del bene anche a noi stessi, mentre, l’individualismo sfrenato, alla fine, ci presenterà un conto molto salato.

Ma la storia dei cambiamenti della terza etica alla fine sembra anche indicarci che la permacultura non è fatta di leggi scolpite nella pietra. È un processo in divenire ancora capace di mettersi in discussione e di evolvere, a partire dalle sue basi.

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Nato in una grande, grigia e fredda città della pianura Padana nel lontano 1970, trasferito in una più piccola ma ugualmente grigia e fredda città della pianura Padana in giovane età, sono da sempre affascinato dall'informatica ed ho assemblato, venduto, riparato, programmato ed insegnato l'uso dei computer dal tempo dei Commodore 64 in avanti e sperimentato con la rete da quando è arrivata in Italia. Una mattina del 2002, in coda in una grigia e fredda tangenziale mentre mi recavo a svolgere il mio dovere da brava formichina come responsabile CED di una multinazionale, qualcosa si è rotto ed ho mollato tutto partendo all'avventura per la più piccola delle isole Canarie. Ho fatto il cameriere, poi il barista, l'aiuto cuoco ed infine aperto una piccola pizzeria di mia proprietà con una socia tedesca conosciuta in loco. Nel 2012, in seguito all'eruzione di un piccolo vulcano non lontano da dove abitavo, ho camperizzato un furgone con materiali rigorosamente di recupero, ho mollato tutto di nuovo e sono ripartito con le mie due cagnine trovatelle, Emilia e Patata, alla scoperta di uno stile di vita alternativo. Mi sono diplomato in permacultura nello stesso anno ed ho partecipato all'organizzazione di PDC e corsi di tecniche di costruzione sostenibili, e visitato e preso parte in esperimenti di cohousing, ecovillaggi ed applicazioni della permacultura nella progettazione di strutture e coltivazioni. Dal 2016 sono tornato sull'isola di El Hierro, sempre con i miei due cani ma stavolta riducendo il bagaglio ad un solo zaino, nella speranza di poter applicare quello che ho appreso nei miei viaggi a questa peculiare isola di cui sono innamorato. Sono chiamato da tutti Maiemi da tempo immemorabile: il motivo è una lunga storia e dovrà essere raccontata un'altra volta.