Intervista a Massimiliano Miatton

0
4012
Massimiliano Miatton manuale permacultura
Massimiliano Miatton, traduttore di “Permaculture – A Designers’ Manual” di Bill Mollison

Buona resilienza!

Ci sono vite che con il loro vissuto hanno lo stesso odore delle pagine di un libro. Generose nel loro raccontarsi come pagine nel loro sfogliarsi. E così, ogni frase ascoltata è scoperta di un “nuovo mondo”.

E tu sei lì, rapito e affascinato da quel racconto come un bambino sdraiato a pancia in giù, le gambe piegate nel loro muoversi un po’ di qua e un po’ di là a mo di bandiera, i gomiti ben piantati a terra, le mani sotto il mento e gli occhi sgranati come se ogni più piccolo particolare di quel racconto prendesse vita. O magari, come protagonista del tutto a gambe incrociate e con la schiena dritta, ci si ridesta in quel tanto di mani così impegnate a stropicciare occhi assonnati di piccolo uomo impavido, che non rinuncia a quell’ascolto così tanto trascinante ed interessante.

…forme, profumi, sapori, colori e luci come elementi preziosi di un popolo, di un territorio e di una cultura sono lo svelarsi dello “Spirito del Luogo”. Quell’aurea sacra che avvolge l’essenza di un luogo e che ogni uomo può sentirla se si pone in ascolto, fino a tessere una relazione profonda con lo spirituale. Si, perché ogni luogo ci chiama, ci insegue, ci desidera e ci parla anche lasciandosi scoprire nella propria essenza più segreta. Ed è grazie al dialogo intimo e puro tra uomo e luogo, che si crea quell’armonia del “perfetto vivere insieme”.

I popoli indigeni considerano fonte d’insegnamento Madre Natura, fino a venerarla e ad onorarla attraverso il proprio operato, ma sempre nel rispetto di ogni sua legge. Un cordone ombelicale presente ancora oggi e che mostra quanto ancora sia vivo quel contatto tra “Uomo e Natura”. E che sia armonia o che sia rispetto, in tutto ciò c’è lo scoprire di “vite straordinarie”, che nel fare di un lavoro umile ma intriso di sacralità, sanno creare per tutti e tutto perché mossi da quel credo, che là dove le risorse materiali non ci sono, c’è l’ingegno dell’uomo come dono del Cielo, che sa darsi e prodigarsi per “ciò che è importante e vitale per l’Uomo e la Natura”. Essi sanno, che “nel dare possono ricevere e nel ricevere dovranno dare”. E’ “vita che genera e rigenera vita” in un continuo fluire nel “qui ed ora”.

E’ tornare là dove tutto ha origine. E’ tornare al punto dove tutto ha inizio. E’ cammino interiore di “consapevolezza” in se stessi e verso la natura. E la Permacultura è tutto ciò: “cordone ombelicale ed armonia ancestrale tra Uomo e Natura”.

Ecco perché agli occhi di chi ha pigmenti del colore della modernità, l’impatto con essa la prima volta risulta essere dirompente. Ma chi si accosta ad essa inconsapevolmente di quel cammino ne era alla ricerca. Ricerca di quel “qualcosa in più” da darsi e da dare alla vita. Un nuovo senso potremmo dire o un nuovo mondo da vivere, ma pur sempre qualcosa che c’è già e che attende solo il nostro ascolto.

Ascolto è ciò che attende l’intervista che segue. Il racconto di una vita, ma che s’intreccia ad altre vite, perché coinvolge tanti e forse anche noi stessi. Ahimè! A volte, per comprendere meglio qualcosa abbiamo bisogno di vedere. Come se la verità passasse solo attraverso gli occhi. E’ vero. Ma è anche vero, che se la parola ha una sua intensità, quel che crea in noi è qualcosa di forte. E credetemi, basta questo racconto che sa di vissuto fino al Polmone Verde della Terra, per comprendere quell’impatto dirompente e significativo che la Permacultura ha nella vita di un uomo.

Scopriamolo insieme a Massimiliano Miatton. Amico de “MEDIPERlab” ed uno dei ragazzi del team di traduzione in italiano de: “Permacultura: Manuale di Progettazione” scritto da Bill Mollison.

Ciao Sterpeta,
per risponderti su come abbia conosciuto la permacultura, e perché questa abbia avuto un impatto così significativo, devo tornare indietro di qualche anno, quando ho vissuto in Kenia, a Mfangano, l’isoletta del Lago Vittoria che per sei mesi mi ha dato casa.

A poche decine di chilometri a sud dell’equatore, Mfangano non solo è intimamente legata al pesce che finisce nelle nostre tavole, ma mi ha anche offerto l’opportunità, per la prima volta, di prendere coscienza dell’interconnessione che caratterizza gli scambi tra sistemi complessi.

Lago Vittoria permaculturaIl Lago Vittoria ospitava un tempo una fauna ittica che poteva contare oltre 500 specie, ognuna delle quali occupava la propria nicchia all’interno dell’ecosistema – pesci carnivori, vegetariani, mangiatori di insetti, fango, plancton, ecc. – e una comunità composta prevalentemente da pescatori che con esse si era co-evoluta. Erano gli anni ’60 del secolo scorso quando il persico del Nilo venne introdotto illegalmente ad opera di imprenditori europei e, in assenza di alcun fattore a contenerne lo sviluppo, si espanse a scapito delle altre specie di pesce. Di queste diverse centinaia oggi non ne rimangono che una ventina di cui, oltre al persico, soprattutto tilapia e sardine.

Negli anni ’80 e ’90, in concomitanza con il boom della pesca del persico, è salita alle stelle anche la percentuale dei malati di AIDS, di pari passo con lo sviluppo del commercio internazionale. Un’invisibile trama connette tra loro fenomeni all’apparenza isolati: la pesca tradizionale vedeva la partecipazione attiva di ambo i sessi (le donne impegnate nella vendita al mercato locale), pescatori con uno stile di vita prevalentemente sedentario, e una dieta basata sul consumo del pescato a livello locale. Con l’arrivo del persico e l’apertura ai mercati internazionali, le donne sono state tagliate fuori dal commercio del pesce, e i pescatori sono diventati prevalentemente nomadi per seguirne lo spostamento dei banchi.

L’assenza di mezzi di sostentamento femminile unitamente ai lunghi periodi di tempo lontano da casa passati dai pescatori, pagati con denaro contante che non hanno molte possibilità di investire, hanno innescato un circolo di prostituzione, povertà e malattia, alimentato dal fatto che spesso un uomo ha più di una moglie, passando così il virus all’interno della famiglia, e che spesso a una donna, una volta vedova, non restano altre forme d’introito. Ed è così che la malattia, dai corpi delle persone, ha infettato le loro stesse strutture sociali. Per non parlare delle perdite a livello nutrizionale, con la stragrande maggioranza dei pesci che vengono esportati a soddisfare i bisogni altrui, e solo gli esemplari troppo piccoli per essere commercializzati sono consumati localmente.

Facendo un bilancio approssimativo, da un lato abbiamo un’isola con una delle percentuali di sieropositivi più alte del mondo (si parla di 3 persone su 10), e dall’altro un qualcosa come 2.000.000 di europei che quotidianamente si cibano di persico del Nilo.

In quel periodo stavo lavorando come volontario per un’azienda agricola locale – il woofing può essere una delle modalità più efficaci per esperire condizioni di vita diverse – parte di Organic Health Response, una Ong impegnata in attività di prevenzione, sensibilizzazione e controllo dell’HIV, nonché di dimostrazione e ricerca di pratiche agricole volte a ripristinare una dieta nutriente e diversificata.

L’esperienza keniota mi stava insegnando di come fosse impossibile risolvere problemi complessi senza considerare il contesto olistico nel quale questi si sviluppano. Di lì alla permacutura il passo è breve, soprattutto con un collega di lavoro francese che per 5 mesi e 29 giorni continua incessantemente a parlartene… Allo scoccare del sesto mese, au revoir, avevo deciso di partire per l’Australia.

Permaculture Research Institute Australia
Permaculture Research Institute Australia

È proprio durante l’anno che ho passato al Permaculture Research Institute australiano che ho avuto modo di esperire in prima persona il funzionamento e la gestione di un sistema agro-sociale, composto da colture orticole e foraggere, alberi da frutto e legname, animali di piccola e grossa taglia, da latte, carne e uova, laghetti e opere di raccolta dell’acqua, attività di compostaggio e produzione di biofertilizzanti, vivaio, bambuseto, compost toilet e fitodepurazione, nonché da una crew internazionale dalle 3 alle 30 persone, a seconda delle stagioni.

Vivere sulla pelle una realtà multidiversificata di questo tipo equivale a scegliere la pillola della consapevolezza del celeberrimo Matrix. Impossibile tornare indietro. Impossibile ignorare che la maggioranza della popolazione mondiale vive in uno stato di povertà perpetrata politicamene per assicurare alla minoranza della popolazione mondiale uno stato di “benessere” che – negli ultimi dieci anni è diventato chiaro – è alquanto dubbio anche per i Paesi “sviluppati” (basta leggere le statistiche sulla disoccupazione, guardare un minuto di telegiornale, o semplicemente chiedere a qualcuno “come va”).

Impossibile ignorare che chi è nato in questa fetta “privilegiata” gode ancora di uno statuto che permette di muoversi quasi senza frontiere, di accedere ad ogni tipo di informazione, e – con la giusta scaltrezza e adattabilità – di investire le proprie risorse in un’attività lavorativa che può garantire non solo una vita soddisfacente ma avere anche un impatto positivo nel tessuto ecologico-sociale. Ma soprattutto, è impossibile pensare di tornare indietro dopo aver provato quanto tremendamente divertente e significativo sia questo stile di vita.

Ed è così che dopo l’Australia ho passato un anno in Giordania, prendendo parte al progetto Greening the Desert che – con le dovute varianti relative a tipologia climatica, scala d’intervento, e contesto socio-culturale – applica lo stesso approccio rigenerativo, in un piccolo appezzamento di terreno gestito in maniera intensiva a colture annuali e perenni, con una sostanziosa diversità di accorgimenti tecnici e piante arboree leguminose e/o facilitatrici che offrono la possibilità di osservarne il comportamento per essere riproposti in simili contesti climatici.

Il rientro in Italia è nato in primo luogo dalla volontà di collaborare con il mitico team del Laboratorio di Permacultura Mediterranea alla traduzione del Manuale di Progettazione di Bill Mollison, per rendere accessibile in lingua italiana questa fonte di conoscenza fondamentale quando si tratta di ri-progettare le strutture visibili e invisibili nelle quali viviamo.

Libro che non solo tratta degli elementi costitutivi della realtà nella quale siamo immersi (sistemi naturali, forme di energia, clima, acqua, vegetazione, suolo, ecc.) e delle modalità con cui possiamo interagire con essi, ma soprattutto presenta una chiave di lettura, un modo creativo e propositivo di relazionarsi al mondo, un’attitudine concreta alla risoluzione delle sfide quotidiane e alla manifestazione del potenziale intrinseco alla vita. È venuto da sé scegliere il Capitolo 11 sulle Zone Aride.

Giordania Green the desertL’impegno sul Manuale in questi ultimi mesi è stato accompagnato dall’impegno sul campo, con la fortuna di poter collaborare con un altro meraviglioso team alla fase di avviamento di un sistema agro-silvo-pastorale – alias Azienda Agricola Iside – la cui spina dorsale sarà un’alley cropping di alberi da frutta fresca, secca, legname, e da sacrificio, intervellati da fasce a pascolo gestito razionalmente, con un orto commerciale sviluppato su diversi moduli, una gestione dell’acqua che spazia dalla progettazione keyline ad accorgimenti specifici alla morfologia del paesaggio terrazzato, una policoltura di olivi ed erbacee perenni, zone a piccoli frutti, apicoltura, acquacoltura, funghicoltura, compostaggio, produzione di biochar, laboratori di trasformazione, e una serie pressoché illimitata di potenziali attività economiche funzionali all’agro-ecosistema che potranno essere avviate una volta che quest’ultimo sarà maturo.

Come recita Bill nel Manuale, il solo limite alle possibili evoluzioni di un sistema risiede nell’informazione e nell’immaginazione di cui gode il progettista e, alla fine, come ricorda un certo Alessandro Ferrari, l’unico ingrediente segreto di cui abbiamo veramente bisogno è il M.I.C… Muovere Il Culo.

Azienda Agricola IsideAhah 😀 Buono a sapersi!

*Grazie Massi,
per questa significativa pagina di vita raccontata. La tua cura è fertilità per ogni terreno del nostro Pianeta”.

* Ogni persona, che crede in un mondo migliore!

Prendi in considerazione l’idea di donare 5, 20, 50 euro o quello che puoi, per proteggere e sostenere la diffusione della permacultura in Italia, per la nostra e le future generazioni.

http://buonacausa.org/cause/manuale

Ti è piaciuto questo articolo? Se vuoi contribuire inviando il tuo articolo clicca qui
Previous articleFrancesca soffia ai sogni delle speranze attuabili
Next articleIl papavero, il fiore scarlatto di Demetra
Il mio nome è Sterpeta. Nome che deriva dagli sterpi: arbusti o rami di piante stentate o secche, solitamente utilizzate per accendere il fuoco. Il mio cognome è Fiore. Beh, qualsiasi fiore possiamo immaginare, sappiamo bene cos’è avendo tenuto tutti per piacere o anche per distrazione un fiore tra le dita. E sarà uno scherzo o un segno del destino, già nel mio nome e cognome c’è sempre stato un seme di Permacultura. Ma prima che potesse germogliare, altro ha preso vita ed è cresciuto sempre più in me ed intorno a me. Ma andiamo con ordine… Sono laureata in Pittura, presso l’Accademia di Belle Arti di Foggia. Nel corso degli anni ho esposto in diverse collettive, e concorsi artistici in Italia. E tra forme e colori ho dato libertà espressiva anche alla scrittura. Infatti, scrivo recensioni d’arte per diversi artisti ed in passato anche per la rivista “L’Altro” a cura della Fondazione Marina Sinigaglia di Melfi. Da anni sono socia e Referente in Puglia dell’A.I.M. Rare onlus, partecipe nell’intero territorio nazionale e talvolta anche internazionale. Ciò che ho acquisito grazie a tale associazione, mi ha vista in passato, parte attiva in altre associazioni impegnate nel sociale e nella cultura. Al di là dei vari eventi e dei tanti posti vissuti e visitati, ciò che mi ha dato tanto sono le relazioni umane, poiché attraverso lo scambio di vite e vissuti c’è vera condivisione, conoscenza e crescita. Ed io posso dire di aver imparato tanto grazie a tali incontri e da ogni persona conosciuta. Nel 2012 presso il Museo Statale Tattile di Ancona, ho partecipato a corsi formativi, dove il tatto permette di regalare un nuovo modo di sentire l’arte. Infatti, tale museo è modello di eccellenza nello scenario delle opportunità culturali per non vedenti e ipovedenti. Esperienza visibilmente toccante, potrei dire! Realizzo laboratori d’arte, tattili, sensoriali ed esperenziali per bambini, ragazzi e adulti. Laboratori tenuti nella natura. Poiché essa ci permette di ricollegarci alla parte creativa, che è presente in ognuno di noi, alimentando anche la nostra libertà d’essere. Il mio cammino nella Permacultura è iniziato nel 2015 con un PDC tenuto da Salah Hammad e Ignazio Schettini. E grazie all’intensità di tale esperienza, ho trovato una nuova dimensione d’essere. L’essenza del mio mondo, che piacevolmente incontra altri mondi. Ed ora anch’io faccio parte della bellissima famiglia “MEDIPERlab”.